Quando, nel 2018, Bruno Fuduli prova a riavvicinarsi ai carabinieri del Ros per raccontare le nuove pieghe assunte dal mercato della cocaina a livello globale, la sua vita assomiglia già a quella del protagonista di un romanzo. 

Primo infiltrato civile della storia della lotta ai narcos, Fuduli ha aiutato gli inquirenti italiani a portare a termine una delle operazioni di polizia – l’indagine Decollo coordinata dalla distrettuale antimafia di Catanzaro – più importanti della storia. Sua l’azienda di marmi utilizzata dai clan calabresi per trasportare nel porto di Gioia Tauro tonnellate di cocaina nascoste all’interno delle pietre, e utilizzata dai carabinieri come Cavallo di Troia per porre fine al fiume di cocaina che attraverso lo scalo calabrese inondava l’Europa. 

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Fedele al suo “personaggio” Fuduli, qualche anno più tardi, farà il salto della quaglia passando tra le file dei cattivi. Arrestato nel 2010 e condannato in primo grado per traffico di droga nell’ambito dell’operazione Overloading, nel 2018 riallaccia i contatti con gli inquirenti a cui racconta le trasformazioni e le evoluzioni del mercato della cocaina. Al centro del discorso ci sono i broker dei clan, che raccolgono il denaro necessario alle operazioni, e i percorsi che si devono seguire per portare la polvere bianca dai tre paesi produttori (Colombia, Bolivia e Perù) ai mercati di vendita in Usa, Europa e Australia. 

«La moglie di Bruzzese – racconta ai carabinieri – mi ha detto di fare come il marito. Di andare in Brasile e organizzare i carichi. Calcolate che con 2, 3 milioni di euro si possono comprare 700-800 chili di cocaina. Perché lì i costi vanno da 2 mila a 4 mila dollari al chilo… dipende dalla zona». 

Il baricentro delle operazioni criminali resta sempre il Brasile: è dal gigante carioca che i narcos tirano le fila che si diramano su tutto il continente sudamericano. E se il Brasile resta il cuore logistico, i paesi produttori non sono lontani: «I produttori sono Colombia, Bolivia e Perù. L’Honduras viene usato come paese di transito per i carichi che vanno in Messico e poi negli Stati Uniti – spiega ancora Fuduli – ma in Usa la pagano poco. 10-14 mila dollari al chilo, mentre in Europa costa di più. A loro interessa più l’Europa. I mercati più alti sono l’Inghilterra, l’Australia e l’Italia». 

Nella lezione di narcotraffico che tiene davanti agli investigatori dei carabinieri – che a loro volta lo stanno indagando nell’ambito dell’indagine Rinascita-Scott – Fuduli affronta anche il tema del costo del prodotto. 

«In Australia si parla di 100mila dollari australiani al chilo. In Italia invece si parla di 50, 60mila euro al chilo, perché c’è carenza». Cifre che appaiono lontane dai tariffari conosciuti e che il narcos (che finirà suicida poco prima degli arresti del maxi blitz di Rinascita) giustifica, ricordando l’impennata dei prezzi: «Prima andava intorno ai 25mila dollari, poi è salita a 33 mila, ora la pagano intorno ai 50, 60 mila». 

A influire sul prezzo, ovviamente, c’è la qualità della cocaina che si intende acquistare. Da quella dipende quante volte si può tagliare la droga prima di immetterla sul mercato. «La cocaina migliore è quella peruviana che si può tagliare fino a tre volte. La cocaina dalla Bolivia due, mentre quella colombiana ha un rapporto di uno a uno, cioè si può tagliare solo una volta». 

A portare i soldi raccolti tra le cosche e necessari agli acquisti poi, ci pensano i colombiani e gli spagnoli «gli unici corrieri che fanno questo tipo di lavoro».

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