«La mia vita sta rifiorendo in maniera stupenda». Maria è una donna in rinascita. È siciliana, ma nella nostra regione, nel centro calabrese di solidarietà ha trovato la strada per ritornare a vivere dopo aver subito umiliazioni e percosse dal suo ex compagno con il quale ha avuto un figlio ed è proprio per lui che Maria ha trovato il coraggio non solo di denunciare, ma di non provare vergogna nel raccontare tutto quello che ha subito e che l’ha portata a rifugiarsi per anni nell’alcol. 

 

«Da ragazza facevo abuso di alcol – ha detto Maria -, ma non era una dipendenza. Lo è diventata perché il mio ex compagno beveva ed io mi ritrovavo a farlo nei momenti di maggiore disperazione. Non avevo il coraggio di parlare delle violenze con la mia famiglia e pian piano l’alcol è diventato un conforto. Da questa dipendenza ne sono uscita da tempo ormai, adesso sto ultimando il percorso psicologico che è servito ad affrontare tutti i traumi vissuti e a lavorare su me stessa per ritrovare la mia dignità di donna e nel volermi bene». 

Il supporto del Centro

Al suo fianco, tutto lo staff del Centro ed in particolare il suo tutor Francesco Piterà: «Maria è arrivata da noi molto provata e stanca - ha spiegato il tutor - , ma è stata forte perchè ha voluto affrontare non solo la dipendenza dall'alcol, ma anche le violenze subite che l'hanno segnata profondamente sia come donna che come madre. Oggi Maria è una persona proiettata a ricostruirsi e a trovare un equilibrio nella sua quotidianità. E' nella fase di reinserimento e lo sto facendo con grande serietà. Con tutti i momenti di difficoltà che ci sono in questi casi, è comunque pronta a combattare le sue paure e ad accettare anche i suoi errori».

Un amore malato

All’inizio per Maria il suo compagno era come un Dio: la riempiva di attenzione e lei, senza rendersene conto, è arrivata a chiudere i rapporti con tutti i suoi cari e lui è diventato il suo unico punto di riferimento. «Mi faceva sentire una principessa - ha detto – mi riempiva di regali ed era molto geloso, un atteggiamento che io vedevo come cura che il mio uomo dimostrava nei miei confronti. Nulla di più sbagliato: mi sono resa conto molto tardi che si trattava solo di una forma di possesso, di un amore malato che inizia prima con il voler cambiare il nostro pensiero, poi con il vietare un hoppy o una passione ed ancora criticando il nostro modo di vestire e dopo le umiliazioni verbali, passa ben presto a quelle fisiche. Amare, invece, significa libertà, rispetto. Quando un uomo inizia a vietarci qualcosa, è il segnale di un amore sbagliato». 

Le botte durante la gravidanza

Quando Maria ha cominciato a ribellarsi, infatti, sono arrivati i primi schiaffi e le botte anche durante la gravidanza. «Stupidamente come facciamo spesso noi donne – ha spiegato - io ero sempre convinta di amarlo ed ero sicura di poterlo cambiare perché aveva avuto un’infanzia difficile ed io sentivo che dovevo aiutarlo e che non era colpa sua se si comportava in quel modo. Ma sono tutte cavolate che noi donne ci raccontiamo: non saremo mai noi a poter salvare il nostro carnefice». 

In coma per trauma cranico

Dopo l’ennesima lite, però, Maria finisce in coma per una settimana per un trauma cranico. «Più volte lo avevo denunciato negli anni – ha spiegato - , ma poi mi convinceva sempre a ritirare la denuncia. Dopo il coma ho deciso di denunciare e di portare avanti la mia battaglia perché all’epoca mio figlio aveva tre anni ed ho cominciato a temere anche per lui. Denunciare è un atto di dignità e coraggio. Non bisogna avere vergogna del giudizio degli altri. Non siamo noi a doverci vergognare. Ci dobbiamo vergognare quando stiamo zitte. In questo centro è attivo anche il servizio “Mondo Rosa” che si occupa in particolare di violenza di genere e sono testimone di quanto importante sia stato iniziare questo percorso che per me è stato come rinascere una seconda volta». 

Insegnare ai figli il rispetto 

«Come donne e come madri – ha detto ancora Maria – abbiamo il dovere di educare i nostri figli maschi al rispetto delle donne, all’idea che siamo tutti uguali e che uno non prevaricare sull’altro, Bisogna iniziare dal rispetto nei confronti delle proprie madri e sorelle e poi con le compagne che avranno dopo». Ed alle figlie femmine, insegnare a capire i segnali di un amore malato: «Vedo tante ragazzine – ha spiegato – che all’età di 14 o 15 anni sono già chiuse in storie con ragazzini che le vietano qualsiasi cosa».

L’appello alle donne 

«Denunciate». È questo il grido di Maria che ora è anche volontaria del centro, portando la sua esperienza di vita e la sua testimonianza di rinascita. «Parlatene in famiglia, a scuola, con un’amica, ma fatelo. Non permettete di rubarvi la libertà e la vita come hanno fatto con me».