“Con un intrepido e italico atto di eroismo, sprezzo del pericolo e indomita fede nell'ideale, gli arditi reggini del movimento CasaPound hanno fatto piazza pulita della feccia straniera che ammorba il pacifico vivere dell'operoso quartiere del Gebbione”.


Forse s'immaginavano la voce nasale dello speaker dell'istituto Luce i militanti di CasaPound mentre allontanavano un manipolo di disperati dal fatiscente accampamento che avevano creato tra le palazzine popolari del Viale Aldo Moro.


Con un comunicato dai toni trionfalistici, ieri pomeriggio i post-trans-fascisti del movimento hanno annunciato la loro ultima impresa: la cacciata degli indiani dal Gebbione. Mancavano soltanto John Wayne e Tex Willer.


Le stesse fotografie postate a corredo della “velina” sottolineavano ua situazione di estremo squallore. Gli uomini, allontanati dalle baracche in cui si rifugiavano – resta da capire con quale autorità se non quella della forza maggiore - erano chiaramente dei disperati. Vivevano, com'è ovvio, in una situazione di illegalità che le autorità avrebbero dovuto evitare.


“La baracca è stata abbattuta e l'ordine (?) ristabilito”, recita ancora il comunicato che i nostri eroi hanno fatto pervenire a tutte le testate.


Ma le regole base del vivere civile, nonché i valori “tradizionali” cui il movimento dice di ispirarsi, imporrebero di dare aiuto agli ultimi, ai disperati e ai miseri, non di tartassarli.


A questo punto bisognerebbe rientrare nella testa dei militanti di CasaPound e, superata la incessante prosa aggettivata di Giulio Notari, comprendere cosa credono di aver risolto. Hanno posto fine a una situazione di degrado? No, hanno spostato il degrado: gli uomini che hanno respinto, cacciandoli dalla baracca che abitavano, andranno a costruirne un'altra, magari non troppo lontano. Hanno aiutato gli abitanti delle case popolari? No, hanno evitato loro un fastidio, forse, ma non li hanno aiutati ad avere quell'attenzione istituzionale che pur meriterebbero. Hanno spostato seppur di poco la realtà? No, se non quella del proprio mostro interiore che chiede di dominare sul più debole, invece di risollevarlo dalla polvere in cui si trova.


Fin qui niente di nuovo nella mentalità post-trans-fascista. Il vero problema è che, nel comunicare un abuso, trovano anche testate acriticamente (si spera) disposte a pubblicarlo, a narrare le gesta degli “arditi, mossi da indomito amor di patria”.