Se n'è andato pochi giorni fa. In silenzio, senza troppi clamori. In un modo che ricorda molto la sua vita e quel "low profile" che ha scelto per dar corpo alle sue attività. Pietro Siclari è stato massimo interprete di quella categoria che si definisce "riservata". A tal punto da essere non facilmente individuabile nei suoi rapporti con 'ndranghetisti ed esponenti della borghesia cittadina. Ora che è morto, dai provvedimenti a suo carico emergono dettagli di rilievo, come, per esempio il fatto che fosse stato lui a inviare delle minacce al procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo. A dimostrarlo gli accertamenti tecnici e scientifici eseguiti sugli scritti anonimi che negli anni sono stati indirizzati al magistrato.

 

Tutto inizia nel 2010. Lombardo lavora a una corposa inchiesta che mira a disarticolare una pericolosa organizzazione criminale dove si intrecciano gli affari di imprenditori, ‘ndrangheta e politica. Lo scopo è da un lato intimidirlo, dall’altro cercare di “manipolare” le indagini.

È il 25 gennaio del 2010. Come si evince dal provvedimento, risale a qualche giorno l’invito a comparire per un formale interrogatorio per il direttore di una banca presente in città e un operatore finanziario. Due giorni dopo quella convocazione viene intercettata la missiva minatoria indirizzata a Lombardo. All’interno un messaggio in stampatello e un proiettile calabro 12: «Stai attento dottorino a Reggio comandiamo noi non rompere le palle statti con il bambino se non vuoi fare la fine di Falcone e Borsellino».

 

Dopo alcuni mesi arriva una seconda lettera. 12 maggio 2010. Anche questa volta il messaggio è scritto in stampatello. «Sei un morto che cammina carne da macello bastardo hai i giorni contati ultimo avviso». Meno di due settimane prima, a Reggio Calabria, era finito in manette Giovanni Tegano, esponente apicale dell’omonimo clan.

 

Le minacce nei mesi successivi proseguono e sono sempre più inquietanti. La Dda sta lavorando al provvedimento di sequestro e di fermo a carico di Pasquale Rappoccio, imprenditore e storico braccio destro di Siclari. La data dell’esecuzione è prevista il 6 ottobre 2011. Ma qualcuno è già informato. Due giorni prima, il 4 ottobre viene rinvenuto nei parcheggi del palazzo che ospita procura e tribunale un ordigno esplosivo. Sopra c’è una foto di Lombardo. Dietro un messaggio. «È tutto pronto per la festa». Siclari in quel periodo si trovava in carcere a seguito dell’operazione Entourage. Ma il contesto in cui l’intimidazione del 4 ottobre è maturata sarebbe sempre direttamente riconducibile a lui, che dal carcere teneva contatti con i suoi uomini di fiducia.

 

Dalle indagini, poi, è emerso anche come, da un raffronto grafologico, proprio Siclari sarebbe l'autore di una missiva contenente una classica "soffiata", giunta tre giorni dopo l'esecuzione di un provvedimento di sequestro ed in prossimità dell'inchiesta Breakfast. Tutte circostanze che fanno propendere gli investigatori verso l'idea che l'imprenditore non fosse per nulla neutro rispetto a quella componente riservata oggi a processo, nell'inchiesta Gotha. Tuttavia quei segreti, quelle ragioni così oscure che hanno determinato l'imprenditore a scrivere di proprio pugno messaggi così rilevanti rimangono per ora sconosciute. Toccherà ai magistrati di Catanzaro, che indagano sulle minacce al procuratore Lombardo, provare a fornire una pista precisa per decifrare un contesto che sta sì emergendo in tutta la sua raffinatezza, ma che possiede ancora lati completamente oscuri sui quali occorre far luce.