L'operazione condotta dalla Guardia di Finanza di Lamezia Terme nel 2018 aveva ipotizzato una sproporzione tra i redditi dichiarati, oltre all'uso di prestanome per occultare le reali disponibilità
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La Corte d'Appello di Catanzaro, decidendo su rinvio della suprema Corte di Cassazione ha annullato la confisca disposta dal Tribunale Misure di Prevenzione di Catanzaro e confermata dalla Corte di Appello di Catanzaro nei confronti di Michele Rutigliano (difeso dall'avvocato Francesco Gambardella) e di Domenico Rutigliano (difeso dall'avvocato Antonio Larussa) disponendo la restituzione di tutti i beni ritenuti di valore superiore al milione di euro alla famiglia Rutigliano
L'operazione
Nel marzo del 2018 la Guardia di finanza di Lamezia Terme, delegato dall’ufficio di Procura, aveva dato esecuzione al sequestro ed alla contestuale confisca di beni mobili, immobili e quote societarie riconducibili ad un imprenditore del lametino, Michele Rutigliano, 61 anni, di Curinga, nonché nei confronti del figlio Domenico e di altri familiari, accumulati nel tempo con i proventi derivanti soprattutto, tra l’altro, da evasione fiscale ed attività illecite assimilate.
La confisca
Il provvedimento giudiziario veniva adottato dal tribunale di Catanzaro – sezione seconda penale, su richiesta della Procura della Repubblica di Lamezia, sulla base delle informative del gruppo della Guardia di Finanza lametina. La confisca del patrimonio dell’imprenditore rappresenta l’esito delle indagini di polizia economico–finanziaria, istituzionalmente svolte dalle fiamme gialle, volte all’individuazione e all’aggressione dei patrimoni conseguiti da chiunque si arricchisca a mezzo di attività illecite di qualsivoglia natura. Gli accertamenti patrimoniali e reddituali dei finanzieri, condivisi dalla Procura e dal tribunale di Catanzaro, sono infatti riusciti a dimostrare che i beni confiscati hanno un valore economico del tutto sproporzionato ed ingiustificato rispetto ai redditi leciti dichiarati nel tempo dall’imprenditore indagato.
L'ipotesi della Procura
Secondo gli inquirenti era stato dimostrato un solido quadro indiziario, indispensabile per disporre il sequestro e la contestuale confisca del patrimonio rivelatosi di origine illecita o ingiustificato nel legittimo possesso, per una sproporzione accertata di oltre 2.300.000 euro. Secondo quanto ritenuto dagli accertamenti delle “fiamme gialle”, infatti, per nascondere la reale disponibilità dei beni sottoposti a misura ablatoria l’imprenditore si avvaleva anche di tre familiari “prestanome”. All’epoca del sequestro e della successiva confisca si riteneva il fatto di particolare spessore investigativo in quanto eseguita nei confronti di soggetto “evasore fiscale socialmente pericoloso”, e risultava essere la prima della specie di tali proporzioni operata dalla Procura lametina, sequestrando e confiscando numerosi immobili, soprattutto terreni e fabbricati commerciali, oltre che quote societarie, beni mobili e veicoli vari, per un valore che supera il milione di euro.
La conferma in appello
La Corte di Appello di Catanzaro con provvedimento del luglio 2018 confermava la confisca disposta dal Tribunale di Catanzaro. Successivamente, la Suprema Corte di Cassazione, nell’accogliere il ricorso di Rutigliano ed annullare con rinvio il provvedimento di confisca (anche su conforme richiesta del Procuratore Generale), riteneva che, tra l’altro che: «Non di meno, quanto meno apodittico appare il giudizio formulato dai giudici di merito, che hanno qualificato il proposto come "evasore fiscale seriale". Giudizio che non tiene conto - come correttamente osservato nel ricorso - dell'insegnamento di questa Corte per cui il requisito della pericolosità generica che legittima l'applicazione della confisca, non può essere desunto dal mero "status" di evasore fiscale seriale, in quanto, per stabilire se il proposto viva abitualmente con i proventi dell'attività delittuosa, occorre considerare la struttura dei reati commessi - assumendo rilievo le sole condotte generatrici di un profitto e non anche quelle meramente dirette ad evitare il pagamento di imposte riferite a redditi lecitamente prodotti - nonchè l'eventuale definizione in sede conciliativa della pretesa fiscale da cui sia derivata il recupero dell'imposta evasa».
La nuova pronuncia
A seguito di giudizio di rinvio, la Corte di Appello di Catanzaro, con provvedimento del 9 luglio 2021, nell’accogliere le deduzioni degli avvocati Gambardella e Larussa, ha ritenuto che gli elementi di fatto ricavabili dalle condanne del Rutigliano non hanno trovato alcun riconoscimento di fatto per accertare la pericolosità generica. Da qui la restituzione dell’intero patrimonio.