Per loro, alla voce “fine pena” quel “mai”, impresso ad inchiostro, ha il sapore dell’eterno. Sono i condannati all’ergastolo ostativo, la pena più dura che il nostro ordinamento possa prevedere: niente permessi premio, nessuna possibilità di accedere a benefici di legge. Hanno commesso delitti gravissimi e, al contempo, appartengono ad organizzazioni mafiose. Così, all’indomani delle stragi di mafia del 1992, nei loro riguardi fu pensata una norma ad hoc, l’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario: l’introduzione, appunto, dell’ergastolo ostativo. Una misura che, dopo la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e quella della Corte costituzionale, subirà una modifica.

Che cos’è l’ergastolo? Quali i benefici possibili?

Prima di procedere ad analizzare la pronuncia della Consulta, però, è opportuno fare un passo indietro. Come abbiamo visto, infatti, qui si parla di ergastolo ostativo. Che, però, è una tipologia di pena diversa dall’ergastolo canonicamente inteso. Quest’ultimo è la pena più elevata prevista dal nostro ordinamento e consiste, sinteticamente, nella carcerazione a vita. Viene inflitto nei casi di reati più gravi, come l’omicidio. C’è tuttavia una problematica di fondo: l’articolo 27 della nostra Costituzione prevede che la pena debba tendere alla rieducazione del condannato. Ciò, in astratto, cozzerebbe con l’ergastolo che, al contrario, suppone che la persona condannata non debba più avere la possibilità di uscire dal carcere. In realtà, le cose non stanno proprio così. Anche il condannato all’ergastolo, che in carcere mantenga una condotta regolare e che non risulti pericoloso per la società, può godere di permessi premio, della semilibertà e della libertà condizionale. 

 

Per quanto riguarda i permessi premio, gli ergastolani possono accedervi, per un periodo non superiore in totale a 45 giorni all’anno, solo dopo aver espiato 10 anni di pena detentiva. Il permesso, dunque, consente di trascorrere qualche giorno (di solito due o tre) fuori dagli istituti penitenziari. 

Quanto alla semilibertà, l’ergastolano, dopo aver scontato vent’anni di pena detentiva, e sempre che ricorrano le condizioni di cui sopra, può aspirare ad ottenerla. Essa consiste nel trascorrere parte della giornata fuori dall’istituto penitenziario per svolgere attività lavorativa, formativa o di reinserimento sociale. 

Con riferimento alla libertà condizionale, invece, l’ergastolano può aspirarvi solo dopo aver espiato 26 anni di pena detentiva. In tal caso, se ricorrono le condizioni di partenza, la persona condannata può uscire dal carcere in regime di libertà vigilata. 

E l’ergastolo ostativo?

L’ergastolo ostativo, dunque, è una forma per così dire “aggravata” di ergastolo e che non consente di accedere ad alcun tipo di beneficio di legge, a meno che il condannato non inizi a collaborare con la giustizia o la sua collaborazione risulti ormai impossibile perché sono stati accertati tutti i fatti di cui poteva essere a conoscenza. Tale tipologia di pena è prevista, come abbiamo visto, dall’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario e vede la sua applicazione nei casi di reati di estrema gravità con riferimento ad associazioni mafiose, terrorismo, sequestro a scopo di estorsione, associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti.

Cosa ha deciso la Corte costituzionale?

La Consulta, investita della questione di legittimità costituzionale per due distinti casi di persone condannate all’ergastolo per delitti di mafia, ha sancito l’illegittimità costituzionale dell’articolo 4 bis, comma 1, dell’ordinamento penitenziario, nella parte in cui non prevede «la concessione di permessi premio in assenza di collaborazione con la giustizia, anche se sono stati acquisiti elementi tali da escludere sia l’attualità della partecipazione all’associazione criminale, sia, più in generale il pericolo di ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata. Sempre che, ovviamente, il condannato abbia dato piena prova di partecipazione al percorso rieducativo». 

Soltanto il permesso premio, dunque, è stato sottratto al meccanismo “ostativo” dell’articolo 4 bis. Non la semilibertà o la libertà condizionale che, invece, rimangono escluse per legge ai condannati all’ergastolo ostativo.  

Chi sono i “sepolti vivi” in Calabria?

Fra qualche mese, a seguito di tali pronunce, sulle scrivanie dei magistrati di sorveglianza di mezza Italia potrebbero iniziare ad arrivare richieste di permessi premio proprio da loro, dai “sepolti vivi”. 

E chissà cosa penserebbe il giudice di turno, se, ad esempio, dovesse trovarsi di fronte ad una richiesta a firma di Bruno Emanuele, il boss delle Preserre, il cui progetto, a detta del pentito Moscato, è quello di evadere per regolare i conti con coloro che lo hanno tradito, per poi ritirarsi nei boschi e sparare all’impazzata a chiunque tenti di catturarlo o avvicinarlo. Che dire poi, di eventuali richieste da parte di boss del calibro di Pasquale Condello “Il Supremo”, uno che, pochi anni fa, si mostrò, collegato dal 41 bis, vestito da straccione, con maglia e pantaloni strappati ed un sacchetto dell’immondizia in mano. 

È evidente: i boss calabresi condannati all’ergastolo ostativo molti. Basti pensare a gente come Giovanni Tegano, sanguinario capobastone reggino, definito da gente a lui vicina come “uomo di pace”, il boss cosentino Ettore Lanzino, l’esponente di vertice del clan Mancuso, Pantaleone alias “Luni Scarpuni”, Nicolino Grande Aracri di Cutro, Franco Abruzzese di Cassano; Mommo e Mico Molè di Gioia Tauro; Giuseppe e Domenico Gallico di Palmi; Giovanni Strangio e Sebastiano Nirta di San Luca. O anche a mandanti ed esecutori dell’omicidio del vicepresidente del Consiglio regionale, Francesco Fortugno, Salvatore Ritorto, Alessandro e Giuseppe Marcianò. 

Cosa succederà adesso?

In questi giorni, anche su autorevoli quotidiani nazionali, sono state riportate notizie a volte non proprio esatte. Per tale ragione, cercheremo di chiarire al meglio cosa accadrà adesso, dopo la pronuncia della Corte costituzionale, attraverso la risposta ad alcune domande.

Il regime di 41 bis viene, in qualche modo, mitigato da questa sentenza?La risposta è no. Il 41 bis, che è un regime detentivo di rigido isolamento, non viene scalfito in alcun modo. Ad essere dichiarata incostituzionale è una piccola parte dell’articolo 4 bis. 

I condannati all’ergastolo ostativo hanno diritto ad ottenere automaticamente i permessi premio? La risposta è no. Non esiste alcun automatismo nella concessione del permesso, né un diritto garantito. Esiste esclusivamente il diritto a presentare una richiesta di permesso premio che, però, dovrà essere valutata dal giudice di sorveglianza, tenendo conto delle indicazioni offerte dalla Corte costituzionale,

I condannati all’ergastolo ostativo potranno uscire definitivamente dal carcere?La risposta è no. Non potranno accedere né alla semilibertà né alla libertà condizionale.  

Un falso allarme?

C’è da domandarsi, allora, se la forte preoccupazione mostrata da parte della magistratura circa gli effetti della mitigazione dell’ergastolo ostativo sia fondata o meno. Come sempre, ci si trova di fronte a due opposte tifoserie: quelli che esultano e quelli che si disperano. Probabilmente, come spesso accade, la verità sta nel mezzo. È evidente che anche solo la possibilità che uno dei personaggi sopra elencati possa accedere a permessi premio lascia abbastanza perplessi. Scardinare quel meccanismo nato col preciso intento di incoraggiare la collaborazione con la giustizia – è innegabile – pone il nostro ordinamento di fronte al rischio che i grandi boss possano ritenere che non sia più davvero conveniente collaborare, sperando, a distanza di dieci anni dal loro arresto, di poter ottenere anche piccolissimi spazi di libertà. Anche perché – è bene dirlo a chiare lettere – la collaborazione è cosa diversa dal pentimento vero. Si può diventare collaboratori per calcolo di convenienza e non per un rimorso di coscienza o per effettivo cambiamento. 

D’altro canto, però, arrivare ad affermare che una simile decisione rinneghi le lotte di magistrati come Falcone e Borsellino appare quanto meno esagerato. Lo ribadiamo: nessun automatismo è previsto nella concessione dei permessi, ma solo la possibilità di fare una istanza che sarà valutata da un giudice, a condizioni particolarmente stringenti. Piercamillo Davigo, magistrato noto per le sue posizioni intransigenti, ha posto una questione centrale: e se il giudice chiamato a decidere fosse minacciato e, così accadendo, concedessi dei permessi? Quesito assolutamente condivisibile, forse proprio nucleo dirimente della questione. Ma qui torna a rilevare una circostanza non da poco: abbiamo davvero fiducia nella magistratura e nei suoi componenti, nonché nella terzietà del giudice e nella sua capacità di valutazione? Se la risposta è positiva, allora, la sentenza della Consulta non può spaventare oltremodo. Se la risposta è negativa, invece, ci troviamo di fronte ad un problema serio che il legislatore sarà chiamato ad affrontare nel prossimo futuro.