«Questi “moderni servizi di guardiania” fanno sì che la situazione sia totalmente fuori controllo, poiché non assicurano assolutamente l’obiettivo per il quale il legislatore ha previsto l’esistenza degli appositi servizi privati di sicurezza. La ‘ndrangheta in questo modo acquisisce potere, seminando terrore mediante continue intimidazioni, che in alcuni casi sfociano in vere e proprie risse». Non usano mezzi termini i pubblici ministeri Stefano Musolino, Walter Ignazzitto, Sara Amerio e Giovanni Gullo nel decreto di fermo con cui è stato posto un argine fondamentale ad uno dei problemi più evidenti nel corso della stagione estiva a Reggio Calabria. Ma non solo quella. Perché nel corso di tutto l’anno, il gruppo di “buttafuori” abusivi continuava senza alcuna remora ad organizzare una vera e propria rete in grado, senza autorizzazione di sorta, a “garantire” una finta sicurezza nei locali più in voga della movida reggina.

 

E non è certo un mistero che proprio la “Reggio by night”, da tempo ormai, sia affetta da una cronica malattia: quella delle infiltrazioni ‘ndranghetistiche anche laddove dovrebbe esserci solo divertimento. L’indagine di oggi fa comprendere a pieno come il settore della security fosse esclusivamente “cosa loro”. Da Reggio a Villa San Giovanni. Nessuno doveva permettersi di entrare in un circuito in cui forse non si facevano gli stessi soldi che può portare un traffico di droga, ma si ottiene un prestigio criminale che si trasforma poi anche in un maggiore controllo del territorio.

 

La struttura dei “buttafuori”. Un vero monopolio. Così i pubblici ministeri descrivono il quadro che emerge dalle indagini effettuate da Polizia e Carabinieri sulle condizioni in cui si trovavano ad operare tutti i locali della movida. E non si parla solo dei lidi estivi, ma anche di molti altri locali che organizzano eventi per tutto l’anno.

 

La gestione era affidata a Paolo Tripodi e Domenico Nucera, anche tramite Fabio Vittorio Minutolo e Michele Panetta. «Volendo utilizzare delle definizioni di matrice giuslavoristica – spiegano i pm – può affermarsi come in seno a tale organizzazione Minutolo rivesta il ruolo di “quadro”, sottoposto unicamente al dirigente Domenico Nucera, mentre gli altri componenti l’organizzazione, quali Fabio Caccamo, Basilio Cutrupi e Giuseppe Pecora, rivestano un ruolo quasi impiegatizio, ulteriormente sottordinato rispetto a quello di Minutolo. Un ruolo mediano è quello di Panetta, che vede elevato il suo ruolo a cagione del rapporto privilegiato con Domenico Nucera, di cui è persona di fiducia a questi totalmente asservita per il raggiungimento delle più disparate finalità criminali». Che cos’è, dunque, questa struttura? Per i giudici trattasi di una «promanazione delle cosche di ‘ndrangheta egemoni nella città ed originarie del rione di Archi, che mediante la presenza capillare sul territorio perpetuano e, ove occorre, ristabiliscono lo stato di intimidazione e le condizioni di assoggettamento e di omertà, reprimendo con violenza ogni azione che possa minarne la credibilità».

 

L’episodio del ferimento. Non passi inosservato quanto accaduto il 29 agosto 2015, quando un gruppo di giovani fu aggredito dai buttafuori condotti da Nucera, armato di pistola, Minutolo e Caracciolo. Qual era la colpa dei ragazzi? Uno di loro aveva sferrato uno schiaffo all’organizzatore della serata, tale Nicola Maltese.

 

Ma la ragione dell’aggressione «non sarebbe consistita nella lesione dell’onore di Maltese, quanto nel fatto che Postorino si sarebbe permesso di aggredire l’organizzatore della serata all’interno di uno dei locali in cui prestavano servizio di sicurezza gli indagati e che, successivamente non avrebbe inteso riconoscerne l’autorità criminale», scrivono i pm. In sostanza uno dei ragazzi, «avendo aggredito Maltese all’interno di un locale nell’egemonia degli indagati, ne avrebbe minato pubblicamente la credibilità, unitamente a quella della compagine criminale di riferimento». Più che una punizione, dunque, una dimostrazione di forza, sfociata nel ferimento di una delle persone e in lesioni diverse riportate dalle altre.

 

Lavoravano tutti. Dalle intercettazioni è emerso come gran parte delle persone utilizzate per i servizi di sicurezza non avesse alcun tipo di qualifica riconosciuta. Anzi non possedeva neppure i requisiti minimi. Come un tale che al telefono ha spiegato di lavorare, pur essendo pregiudicato. Condizione che avrebbe dovuto impedire a chiunque di poter effettuare un lavoro simile. Questo dato, a giudizio dei pm, non è di poco rilievo: «Posto che i gestori o i proprietari avevano comunque necessità di fruire di un servizio di sicurezza in occasione delle serate organizzate all’interno dei rispettivi locali e, dunque, che in assenza del gruppo criminale si sarebbero rivolti a chi era in regola con i requisiti legali per l’espletamento di tale attività, non avendo certamente interesse a ricorrere sistematicamente all’ausilio di personale non qualificato e fuori legge, esponendosi anche al rischio di sanzioni in caso di controlli, deve desumersi come Domenico Nucera, facendosi forte della propria caratura criminale ed intraneità alle cosche di Archi, avesse importo agli imprenditori di fare ricorso ai propri uomini per l’espletamento di tale servizio, in tal modo garantendosi un controllo quotidiano ed una presenza capillare nei locali ove si svolgeva la movida reggina». Emblematico il caso del gestore del “Niu beach garden”, scrivono i giudici, che «non solo ha richiesto alla prefettura l’autorizzazione all’esercizio del servizio d’ordine e sicurezza nell’interesse di Michele Panetta, ma soprattutto, dopo che tale autorizzazione è stata negata, ha comunque impiegato stabilmente Panetta».

 

Consolato Minniti