Il medico Giovanni Francesco Acri: originario di Rossano, sarebbe legato al boss Tripodi. Finì in una bufera mediatica dopo essersi dimesso per lasciare il posto a un collega di partito dopo l’assunzione di suo figlio all’Europarlamento
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«Mi dimetto per esclusivi motivi professionali». Quando Giovanni Francesco Acri finì al centro di una bufera mediatica tra il 2022 e il 2023, i guai – pure non trascurabili – erano legati alla sua attività politica. Operazione Acri, la chiamava la Guardia di Finanza. Il medico originario di Rossano aveva lasciato il seggio nel Consiglio comunale di Brescia a Giangiacomo Calovini, in quel momento organico all’esecutivo nazionale di Fratelli d’Italia col ruolo di vice responsabile del dipartimento Italiani nel mondo.
Due politici locali per due correnti diverse del partito che all’epoca totalizzava percentuali a una sola cifra: le cronache davano Acri vicino all’area che fa capo al ministro del Turismo Daniela Santanché e all’ex senatore Mario Mantovani.
Unico rappresentante di Fdi nell’assemblea, Acri era accusato di impegnarsi poco e portava su di sé lo stigma del calabrese. Nelle chat del partito qualcuno parlava di cattive frequentazioni. I termini erano anche peggiori. Volevano sostituirlo e ci riuscirono. Giusto qualche giorno prima, il figlio del medico, ancora iscritto all’Istituto tecnico agrario, ottenne un contratto part-time da 795 euro lordi con un europarlamentare meloniano. Appena ricevuta la copia del contratto, Acri lasciò lo scranno di Piazza della Loggia con la lettera in cui parlava di dimissioni per motivi professionali.
Le cattive frequentazioni di Acri e gli insulti a Gratteri
Due anni dopo, le cattive frequentazioni hanno nome e cognome e il profilo del medico riemerge accanto all’ombra sinistra della ’ndrangheta. Acri è originario di Rossano, ha 67 anni e si è trasferito – lo riporta il suo curriculum – in Lombardia all’inizio degli anni 90 dopo la laurea in Medicina conseguita nel 1985 alla Sapienza e una specializzazione chiusa nel 1990 all’Università “Federico II” di Napoli.
La Dda di Brescia gli contesta un rapporto ravvicinato con gli uomini del clan Tripodi, soprattutto con Stefano Terzo Tripodi, il “santista” che di Acri – a proposito di stigma – dice: «Lui è calabrese, è dei nostri». Non è soltanto questione di provenienza, secondo il gip che ha firmato l’ordinanza che ha mandato il medico ai domiciliari. Acri, infatti, avrebbe offerto un «contributo» alla cosca: per questo motivo il giudice riconosce il reato di concorso esterno. In un episodio, in particolare, il consigliere comunale di centrodestra avrebbe raggiunto «una piena sintonia con il suo interlocutore», cioè il “santista”. Accade quando insulta l’allora procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri per il suo impegno contro la criminalità organizzata.
Tripodi «socio di un clinica in cui lavora Acri»
Tripodi consiglia a Mauro Galeazzi, ex esponente della Lega a Castel Mella (anche lui ai domiciliari) di avvicinarsi all’urologo, che è accusato (anche) di aver “ricucito” un sodale ferito durante una rapina a un portavalori compiuta insieme a un componente della cosca, per stringere un patto politico: «Se tu ti strofini con lui un pochettino… mangiate la stessa politica … tu fai… ti presento io… questo ti fa… ti farà conoscere, piano piano… puoi fare una bella politica».
«La contiguità di Acri a Tripodi viene confermata – scrive il giudice nella stringata ordinanza di custodia cautelare – nuovamente, da altra conversazione ambientale in cui il secondo (parlando con una persona non identificata) afferma di essere socio della clinica di Palazzolo ove lavora Acri e, ancora, in altra conversazione in cui Stefano e Francesco Tripodi (figlio del primo, ndr) evidenziano l’estrema disponibilità di Acri alle richieste provenienti da loro».
L’affare del centro per migranti nel Reggino
L’ordinanza di custodia cautelare fa cenno poi a un episodio che restituisce la misura di un rapporto biunivoco tra il medico con la passione per la politica e il clan Tripodi. È una sottolineatura di appena tre righe in cui il gip evidenzia che «in altre conversazioni emerge come lo stesso Acri abbia richiesto e ottenuto dalla famiglia Tripodi un intervento per problematiche insorte riguardo all’apertura di un centro per migranti che Acri, insieme ad altri, intendeva aprire nel Reggino». Persino strano, visto che il partito di provenienza di Acri non è in prima linea nell’accoglienza Forse un affare, non certo corrispondente alla visione sul fenomeno migranti del partito di provenienza. Per il gip «in questo senso, anche sotto l’aspetto soggettivo, non possono essere relegate a mere espressioni verbali i commenti effettuati da Acri verso l’attività di contrasto alla ‘ndrangheta … risultando, al contrario, espressione di una piena consapevolezza e adesione alle dinamiche di consorterie criminali cui l’indagato faceva riferimento».