Nella notte di Santo Stefano è morta una giornalista con la G maiuscola e che molto probabilmente si sarebbe arrabbiata per il pezzo che state per leggere. Si perchè Cristina Vercillo era una sorta di mosca bianca nel panorama di un mestiere così malato di una buona dose di cialtronismo. Cristina invece amava stare dietro le quinte, le luci dei riflettori l’hanno sempre messa in imbarazzo al punto che sulla sua vita privata aveva calato un muro talmente impenetrabile che era diventato leggendario nella redazione.

Eppure aveva tutti i numeri per mettersi in mostra a partire da una cultura mai sfoggiata ma altrettanto solida. Una cultura poggiata solidamente su due pilastri: la sua grande passione per la musica e il pianoforte in particolare (era diplomata al Conservatorio) ma anche il grande interesse per la letteratura. La sua ritrosia al pubblico cedeva infatti quasi esclusivamente per il premio Grinzane Cavour e le iniziative della Fondazione Carical. Cristina infatti era convinta che i giornalisti dovessero parlare attraverso gli articoli senza mai profittare troppo della propensione all’ascolto delle persone.

Laureata in Lettere e poi specializzata alla scuola di giornalismo di Roma, faceva parte di quel gruppetto di ragazzi che partito da un magazzino di Castrolibero avrebbe cambiato per sempre l’informazione in Calabria. Era fra quelli che hanno iniziato il mestiere quando ancora i corrispondenti inviavano i pezzi via fax e internet era un privilegio di pochissimi, quando ancora i telefonini erano uno status symbol e per recuperare notizie dai paesi più sperduti dalla Calabria si chiamava al posto telefonico pubblico dell’elenco telefonico. Il giornalismo aveva altri ritmi all’epoca e le ore piccole in redazione erano routine. Lei aveva dato il giusto entusiasmo a quel gruppo di ragazzi. Di più. All’epoca era una delle poche giornaliste professioniste in redazione. Inevitabile che diventasse chioccia per tutti i neofiti. Lei non si risparmiava mai. Accoglieva tutti con quell’inconfondibile risata e trovava una soluzione a tutto. Dotata di una pazienza biblica era il parafulmine per quasi tutti i problemi. Era a lei che i corrispondenti chiamavano perchè il pezzo non era uscito; era lei a sorbirsi ore di telefonate di improbabili commentatori che chiedevano l’immediata uscita delle loro imperdibili riflessioni; era lei che incassava le lamentele se si rompeva la rotativa o se il giornale presentava problemi di stampa. Lo faceva per ruolo perchè era il caporedattore centrale prima del “Quotidiano della Calabria” poi del “Quotidiano del Sud”, ma lo faceva anche per inclinazione perchè aveva la principale qualità che deve avere un giornalista: la curiosità, la voglia di ascoltare e capire la gente. Teneva in modo particolare a gestire la pagina delle opinioni e commenti che da sempre caratterizzavano il giornale.

Con le dita affusolate da pianista, che sembravano volare sulla tastiera del pc, chiudeva ogni giorno decine di pagine, organizzava ogni giorno la foliazione del numero, gli speciali, le grandi inchieste culturali. Scriveva poco, troppo poco per le sue qualità e ogni volta era una lotta per spingerla a farlo. Quando lo faceva però univa una scrittura elegante ad una non comune capacità di incidere. Come quando scoperchiò scandali edilizi che stavano per devastare tratti dell’alto tirreno cosentino. E poi una serie di inchieste che le valsero anche il premio “Giannino Losardo”. Sempre tenendo un basso profilo, preferendo il lavoro oscuro nella stiva del giornale, l’immane sforzo organizzativo che solo chi è stato in una redazione centrale può capire. Ma lei lo faceva col sorriso, anche quando c’era da attendere per ore, senza fare nulla, l’arrivo della notizia dell’ultim’ora. Non si scomponeva e smontava e rimontava il giornale in pochi minuti.  Abbiamo lavorato gomito a gomito per 24 anni. Abbiamo discusso, anche in maniera forte, ma ci siamo voluti veramente bene. Tutti sapevano che su Cristina potevi sempre contare e che non aveva mai un retropensiero o peggio un interesse personale. Tutto quello che faceva era per il giornale, anche a costo di apparire pedante con i colleghi. Le sue qualità erano talmente indiscusse che tutti i direttori che si sono succeduti al Quotidiano Pantaleone Sergi, Ennio Simeone, Matteo Cosenza e Rocco Valenti vedevano in lei la garanzia di accuratezza e professionalità. 

Un male terribile l’ha stroncata a soli 59 anni lasciando nello sgomento non solo tutti quelli che hanno avuto la fortuna di incrociarla nella vita, ma soprattutto la sua famiglia e gli amati nipoti che per lei stravedevano. Mi mancheranno le nostre chiacchierate di fronte il distributore di snack della redazione mentre lei, mangiando la sua cioccolata, mi chiedeva spiegazioni su un pezzo o col solito sgarbo mi rimproverava per qualche mia mancanza o, più raramente, si complimentava per un colpo giornalistico. «Massimo, ma fammi capire…», era il suo classico incipit. E ogni discussione, anche la più accesa, finiva inevitabilmente con una battuta. I funerali si terranno domattina presso la parrocchia dehoniana all’Unical.

Alla famiglia di Cristina Vercillo le più sentite condoglianze da parte di tutta la redazione di LaC News24. «Non andiamo via veramente, - ha dichiarato il presidente del gruppo Pubbliemme-LaC Domenico Maduli - ci si sposta da una parte all’altra, lasciando qui i ricordi e le opere di una vita sana, vera e sincera. L’esempio di persone così arricchisce tutti. Sincere condoglianze alla famiglia e all’azienda che ha avuto la fortuna di averla accanto in vita».