In aula il carabiniere che ha coordinato le indagini per far luce sull’agguato a colpi di kalashnikov che nel 2002 costò la vita a Alfredo Cracolici e Giovanni Furlano. Le difese hanno fatto leva sulla mancanza di alcuni riscontri (ASCOLTA L'AUDIO)
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«Quell’omicidio segna l’inizio della scalata dei Bonavota». Fra i tanti delitti di ‘ndrangheta che hanno funestato il Vibonese, a quello di Alfredo Cracolici il tenente colonnello dei carabinieri, Valerio Palmieri, assegna un posto d’onore negli annali della cronaca nera. Dalla sua eliminazione, consumatasi ventuno anni fa, sarebbe cominciata, infatti, l’espansione della famiglia di Sant’Onofrio. Palmieri lo ha ribadito oggi in aula, convocato come testimone sulla scena del processo Rinascita Scott, in particolare del troncone relativo agli omicidi e ai sequestri di persona che si celebra in Corte d’assise a Catanzaro.
Testimonianza ridotta
L’ex capo del Nucleo investigativo di Vibo, attualmente in servizio a Reggio Calabria, ha coordinato buona parte delle indagini culminate poi nel blitz del 19 dicembre 2019. La sua, oggi, è stata una testimonianza ridotta. In questi mesi l’ufficiale ha calcato altre scene processuali di Rinascita Scott, ragion per cui con l’accordo di accusa e difesa, la Corte ha acquisito le sue precedenti dichiarazioni, consentendogli di esprimersi solo sul duplice omicidio di Vallelonga datato 8 febbraio 2002. Duplice sì, perché quel giorno, oltre a Cracolici muore anche Giovanni Furlano, la cui unica colpa è quella di essersi trovato in compagnia del bersaglio designato.
Il contesto
L’agguato si consuma in contrada Muraglie. L’auto su cui viaggiano le vittime è investita da una pioggia di proiettili, esplosi da sicari armati di kalashnikov e fucili calibro 12. Furlano muore sul colpo, il suo compagno resisterà altre 24 ore prima di spirare in ospedale. Cracolici, ha ricordato Palmieri, era a capo di un gruppo «molto forte», che godeva dell’appoggio «dei Mancuso», e aveva messo in piedi un piccolo feudo criminale che si estendeva da Filogaso a Maierato. Proprio in questa località, in particolare nella zona industriale, contavano di espandersi i Bonavota. Prova ne sarebbe, a suo dire, «l’apertura di un bar pochi giorni dopo l’agguato». All’uccisione di Alfredo farà seguito due anni dopo quella di suo fratello Raffaele, ma il progetto criminale, secondo il testimone, era ancora più ampio, tanto da prevedere anche l’assassinio, poi non andato in porto, di Francesco il figlio di Raffaele.
I pentiti
Contro Bonavota e l’altro imputato del processo (Antonio Ierullo) ci sono le dichiarazioni di due collaboratori di giustizia: Francesco Costantino e Andrea Mantella, ovvero colui il quale dal 2004 in poi avrebbe stretto un’alleanza di ferro con il gruppo di Sant’Onofrio. «Non è un caso – ha teorizzato Palmieri – che Domenico Bonavota si renda irreperibile proprio nell’estate del 2016, pochi mesi dopo il pentimento di Mantella. Temeva che parlasse degli omicidi». Tra i suoi compiti c’era anche quello di cercare riscontri alle indicazioni dei collaboratori. E con riferimento all’affaire Cracolici-Furlano, dalle investigazioni ne sono emersi due ritenuti degni di nota.
I riscontri
Il primo del quale Palmieri ha illustrato il contenuto è un’intercettazione ambientale precedente al duplice omicidio e acquisita da un altro procedimento penale. Da una microspia piazzata sull’auto di Ierullo, gli inquirenti ritengono di aver immortalato le prove generali dell’agguato, quando alcuni giorni prima di entrare in azione il commando ispeziona la futura scena del crimine e percorre lo stesso tragitto, da Sant’Onofrio a Vallelonga, che andrà poi a coprire l’otto febbraio, nell’ora X. L’altro riscontro è rappresentato da un dialogo carpito ad alcuni membri della famiglia Belsito, ancora una volta in ambientale. Nel 2017 nonno e nipote parlano dell’ammazzatina di “Palermo”, soprannome dei Cracolici, e a proposito di Bonavota uno di loro afferma in modo perentorio: «L’ha fatto lui».
Le difese
L’esame del pm Annamaria Frustaci è durato un paio d’ore, poi il pallino è andato in mano alle difese. Il controesame dell’avvocato Sergio Rotundo ha ruotato soprattutto attorno all’ambientale “Ierullo”. Il legale non è poi così certo che in quel dialogo si parlasse di un omicidio prossimo alla consumazione, né che quel giorno i diretti interessati compiano proprio il tragitto incriminato. Nell’intercettazione si sente Ierullo conversare con Bonavota. «Come fate a dire che si trovassero a Sant’Onofrio?». La risposta corre sul filo delle deduzioni: «Perché non si muovevano da lì, il loro luogo di ritrovo storico era il bar in piazza». Rotundo gli ha poi chiesto se avessero verificato il tempo che s’impiega a raggiungere Vallelonga da Sant’Onofrio, ma è un accertamento che non è stato eseguito.
Piste alternative?
L’avvocato Nicola Cantafora, difensore di Bonavota, ha introdotto invece il tema dei moventi alternativi. Ha fatto accenno a un’estorsione per il costruendo palazzetto dello sport e poi a un’altra brutta vicenda nella quale Alfredo Cracolici era rimasto invischiato prima di morire: un’indagine per violenza sessuale. Sulla stessa scia l’intervento del suo collega Vincenzo Gennaro, che oltre ad approfondire l’argomento il concetto, ha chiesto in modo esplicito al testimone: «Avete valutato altre piste investigative oltre a quella in rubrica?». Nessun’altra pista, ma sul punto si è fatto sentire il presidente della Corte d’assise: «Questo non rientrava fra le deleghe assegnate al tenente colonnello». Altri spunti difensivi restano confinati nella tattica. Torneranno utili per le arringhe finali. Dopo Palmieri è stato sentito in aula il luogotenente D’Ippolito. Con lui si è passati all’aspetto più tecnico della vicenda: intercettazioni, riconoscimento delle voci et similia. Prossima udienza il 14 febbraio.