Rialzare la testa e gridare a gran voce un convinto No alla sopraffazione della ‘ndrangheta. Con questo spirito e questo invito si sono ritrovati a Cassano allo Ionio, nel cuore della Sibaritide, centinaia di giovani, adulti, associazioni, rappresentanti dello Stato e della politica che hanno accettato l’invito di Libera per dire “ora basta! Non vogliamo morire di ‘ndrangheta” insieme a don Luigi Ciotti. E a dieci anni dalla barbaro assassinio nel 2014 del piccolo Cocò, ucciso a colpi di pistola e bruciato. Aveva solo 3 anni. 

«Siamo qui - ha detto il fondatore di Libera - per ricordare Cocó, un bimbo spazzato via da inaudita violenza criminale e mafiosa, per ricordare altri centoventi bambini assassinati nel nostro Paese, per non dimenticare la strage di innocenti. Ma non dobbiamo dimenticare che queste morti devono mordere le nostre coscienze, devono interrogarci, devono diventare un’assunzione di responsabilità». 

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Don Ciotti ha sottolineato che «le mafie sono diventate forti nella testa della gente». «Si è passati dal crimine organizzato mafioso e 'ndranghetistico al crimine normalizzato - ha continuato -. Loro sono oggi più forti, usano nuove modalità e strategie, nuove tecnologie, si sono globalizzate e per questo dobbiamo essere più forti noi, dobbiamo essere più vivi, più responsabili, più attenti ed è bello unire le forze con giovani, adulti, associazioni e movimenti per metterci la faccia, per sottolineare da che parte stiamo, unendo le forze per diventarne una etica, sociale, al servizio del bene comune».

Il sacerdote antimafia più famoso d'Italia ha poi espresso gratitudine verso le forze dell’ordine e la magistratura, «ma non possiamo dimenticare che l’ultima mafia è sempre la penultima, perché nel codice genetico dei mafiosi ci sta un imperativo: rigenerarsi. Ci vuole uno scatto in più perché loro sono forti - ha esortato -. Sparano di meno, uccidono di meno, non si verificano i grandi attentati e così nella testa della gente si è trasformata in normalità. Come la droga, il gioco d’azzardo, l’usura».

Ha poi ricordato anche Cutro: «Penso anche che a Cutro dov’è stata organizzata una manifestazione di sostegno a degli imprenditori che hanno detto No al pizzo. Non possiamo e dobbiamo lasciarli soli, dobbiamo unire queste piazze e tutte queste persone che ci mettono la faccia e bisogna fare in modo che tanti altri facciano lo stesso».

E questo perché «l’omertà  e la neutralità sono due aspetti preoccupanti della mafiosità, la violenza della cultura mafiosa, ed è proprio quell’omertà ad uccidere la speranza, ad uccidere la verità. La delega è un’altra malattia terribile, è la rassegnazione di quelli che dicono “tanto le cose non cambieranno mai”. Siamo qui perché le cose devono cambiare. Dobbiamo estirpare il male alla radice e per farlo dobbiamo occuparci dei sintomi da contrastare con una grande sfida culturale, educativa e sociale. La lotta alla mafia vuol dire lavoro, casa, famiglia, cultura, scuola, partecipazione e protagonismo. Tanti io devono trasformarsi in noi. 

«Se le mafie sono presenti vuol dire che la politica è stata assente»

«La politica - ha aggiunto nel lanciare un messaggio chiaro - attinge alle mafie ed è un fenomeno che non si arresta. La politica deve dare risposte concrete ai bisogni fondamentali delle persone e se non lo fa, la politica è un’altra cosa. È nata per dare risposte ai bisogni delle persone, alla loro libertà e dignità. Se la politica non fa le politiche non è politica. Chi attinge ai voti della criminalità commette un grave crimine. Se la mafia è presente - ha specificato don Ciotti - vuol dire che la politica è stata assente. Ed invece è chiamata a creare le condizioni perché tutto questo non avvenga».

«La scomunica sia medicale»

Il fondatore di Libera ha poi ricordato le parole di papà Francesco contro la ‘ndrangheta. Dopo la barbara uccisione di Cocò, il pontefice ha raggiunto la Sibaritide, luogo in cui ha tuonato contro i criminali, scomunicandoli.
«A Sibari, papà Francesco ha tuonato contro la ‘ndrangheta, dicendo “chi adora il male è scomunicato”. L’ha detto il pontefice, ma non vi è nulla di scritto nel catechismo, nella dottrina sociale della chiesa. Avevamo creato un gruppo di lavoro in Vaticano perché la scomunica deve avere una funzione medicale, deve stimolare le coscienze, significa stimolare le persone a prendere coscienza delle loro responsabilità. Quello è l’obiettivo. È importante che anche negli scritti della chiesa si descriva che cos’è la mafia, cos’è questa violenza. Purtroppo sì è tutto fermato, tocca anche a noi sollecitare. Dobbiamo scuotere i mafiosi a capire che Dio è misericordioso, ma chiede anche a noi di essere misericordiosi verso gli altri e che si deve rispondere del male che si fa. C’è una giustizia terrena - h concluso don Luigi Ciotti - a cui si deve rispondere. Il papà l’ha gridato anche qui: convertitevi e cambiate».