Imprendibile per i clan delle Preserre ma non per i magistrati antimafia di Messina. Scampato a ben tre tentativi di eliminazione a colpi d‘arma da fuoco, “graziato” negli anni da tutte le operazioni antimafia condotte sinora nelle Preserre vibonesi dalla Dda di Catanzaro, inserito persino nella relazione che ha portato allo scioglimento per infiltrazioni mafiose dell’amministrazione comunale di Soriano Calabro (precedente a quella attuale), ma finito ora agli arresti domiciliari nell’ambito di un’inchiesta dello Scico della Guardia di Finanza e della Dda di Messina sulle scommesse clandestine on line. Il protagonista è Domenico Zannino, 36 anni, di Sorianello, arrestato insieme alla moglie Antonella Chiera, 34 anni, pure lei di Sorianello.

Zannino e la moglie sono accusati di aver preso parte ad un’associazione a delinquere capace di guadagnare migliaia di euro con le scommesse on line, con la Chiera che si sarebbe in particolare occupata della raccolta delle scommesse illecite tramite fastbet 360, cornerbet360 e vincibet 365. Domenico Zannino sarebbe stato a sua volta gestore di una linea di gioco “punto com" a Soriano Calabro e si sarebbe occupato della distribuzione sul territorio di Vibo Valentia delle skin “fastbet360”, “comerbet360” e “vincibet365”, attraverso la propria linea di gioco ed attraverso una rete di agenzie/Pvr che a lui farebbero capo. Zannino e la moglie, inoltre, si sarebbero rivolti ai capi dell’associazione per richiedere l’apertura di nuove agenzie e nuovi conti nel Vibonese e a Soverato, mentre la Guardia di finanza – analizzando tutti i movimenti legati ai volumi di gioco – ha annotato che il volume totale “giocato” ammontava a 2. 423.121,94 euro, con un utile di 69.886,21 euro riferito a Zannino.

Zannino e gli agguati ai quali è scampato

Il nome di Domenico Zannino è tuttavia rimbalzato in aula – nel corso del processo Maestrale-Carthago in fase di celebrazione dinanzi al Tribunale di Vibo – quando a deporre è stato chiamato il collaboratore di giustizia, Walter Loielo, di Ariola di Gerocarne, quest’ultimo condannato a 20 anni per l’omicidio e l’occultamento del cadavere del padre Antonino Loielo. Secondo le dichiarazioni del collaboratore di giustizia, Domenico Zannino doveva cadere sotto i colpi di potenti armi da fuoco e l’agguato ai suoi danni sarebbe stato organizzato da Rinaldo Loielo (figlio del boss Giuseppe Loielo ucciso insieme al fratello Vincenzo nel 2002 dal boss rivale Bruno Emanuele). A prendere parte all’agguato contro Domenico Zannino, oltre a Rinaldo Loielo – stando alle rivelazioni di Walter Loielo – doveva essere pure Rocco Tavella di Mileto, nell’ambito di uno scambio di favori sull’asse Mileto-Soriano. «Poi non abbiamo fatto niente perché ci aveva avvisato il cognato di Rinaldo Loielo che c’erano i carabinieri poco più avanti di dove eravamo noi. Ci trovavamo sotto la caserma dei carabinieri di Soriano – ha rivelato in aula Walter Loielo – pronti a uccidere Domenico Zannino che partiva con l’auto, ma Filippo Pagano, il cognato di Walter Loielo, che era con la sua macchina, tramite un walkie talkie ci ha avvertito che c’erano i carabinieri al posto di blocco vicino l’ospedale di Soriano. Eravamo vicini al ponte che collega Soriano e Sant’Angelo. Rinaldo non mi ricordo come poi se ne è andato, però Filippo è venuto a prendere sia a me e sia Rocco Tavella, a me mi ha lasciato a Sant’Angelo, a Rocco è andato a portarlo a San Giovanni, a casa sua».

Nel tentativo di omicidio ai danni di Domenico Zannino, il collaboratore Walter Loielo ha tirato in ballo anche uno zio materno (poi deceduto) di Rinaldo Loielo, mentre vi è da ricordare che il 20 luglio 2014, alle ore 23:50, anche la madre di Rinaldo Loielo – Marianna Raimondo – è rimasta vittima di un tentato omicidio (ad oggi impunito) unitamente ai figli Valerio Loielo e Luana Loielo (quest’ultima compagna di Filippo Pagano), tutti a bordo della stessa auto presa di mira a colpi d’arma da fuoco. A detta del collaboratore Walter Loielo, dopo il primo fallito agguato ne sarebbero stati quindi preparati altri due contro Domenico Zannino e dovevano essere usati fucili Ak47 e un fucile automatico, pure questi non andati però a buon fine.

In cambio della presunta partecipazione di Rocco Tavella (imputato nel maxiprocesso Maestrale-Cartagho per associazione mafiosa, traffico di droga e armi) alla missione di morte contro Domenico Zannino, Rinaldo Loielo avrebbe invece dovuto dare una mano ai Tavella – stando alle dichiarazioni di Walter Loielo – per compiere altri agguati a Mileto contro i clan rivali dei Tavella. Da ricordare che Rinaldo Loielo e Filippo Pagano non figurano tra gli imputati del maxiprocesso Maestrale ed hanno scontato una condanna definitiva a 8 anni per la detenzione di un potente ordigno esplosivo che sarebbe stato ceduto nel 2013 dal boss di Limbadi e Nicotera, Pantaleone Mancuso, detto Scarpuni, per alimentare lo scontro armato tra i Loielo e il clan Emanuele.
Una vicenda, quest’ultima (unitamente alle intercettazioni in un bar di Nicotera Marina intercorse tra Mancuso, Loielo e Pagano) tornata recentemente di attualità poiché riportata anche nell’ultima inchiesta antimafia denominata “Portosalvo”, che vede Pantaleone Mancuso imputato quale mandante di un omicidio.

Il profilo di Zannino

Ma perché nei propositi del clan dei Loielo (rivale degli Emanuele) si rendeva necessaria l’eliminazione di Domenico Zannino? Pur non essendo sinora mai stato condannato per reati di mafia, il suo nome lo si ritrova anche nella relazione che ha portato allo scioglimento per infiltrazioni mafiose della penultima amministrazione comunale di Soriano Calabro. Qui Domenico Zannino viene indicato come «stabilmente inserito nell’organizzazione criminale del Locale dell’Ariola, già destinatario di avviso orale di pubblica sicurezza, pregiudicato per essere stato tratto in arresto per detenzione di arma, poiché a seguito di perquisizione veicolare veniva rinvenuta una pistola calibro 9×21 con matricola abrasa, determinando – in tale occasione – la fuga di Gaetano Emanuele».

Sempre da tale relazione è poi emerso che Domenico Zannino ha anche partecipato al matrimonio – celebrato in Sicilia – della figlia dell’ex sindaco di Soriano, Vincenzo Bartone, la cui amministrazione è stata poi sciolta per infiltrazioni mafiose (scioglimento confermato anche dal Tar). Ad oggi Domenico Zannino si trova indagato a piede libero (Dda di Catanzaro) per concorso nell’omicidio di Bruno Lazzaro, il giovane assassinato il 4 marzo del 2018 nel territorio comunale di Gerocarne. L’inchiesta, tuttavia, dagli avvisi di garanzia risalenti al 2021, non ha fatto registrare ad oggi nessun passo in avanti. Sempre Domenico Zannino è salito alla ribalta della cronaca pure per aver portato in spalla nell’aprile 2022 la statua della Madonna in occasione della processione di Pasqua a Soriano Calabro, con il “caso” sollevato proprio dalla nostra testata. Da ultimo è stato il collaboratore di giustizia di Vibo Valentia, Bartolomeo Arena, a fare il nome di Domenico Zannino in dichiarazioni confluite anche nella recente inchiesta antimafia denominata Habanero. «Avevo un rapporto di amicizia con Domenico Zannino, uomo degli Emanuele, il quale – ha fatto mettere a verbale il collaboratore Arena – era responsabile di sei, sette paesi nelle zone delle Preserre vibonesi, tra cui pure il territorio di Acquaro in virtù dello stato detentivo dei fratelli Francesco e Angelo Maiolo».