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Il pentito Fabio Tranchina, autista di Giuseppe Graviano, si recò a Bova Marina, dalla famiglia Vadalà per chiedere informazioni sulla possibilità di aggiustare un processo. È quanto emerge dal processo “’Ndrangheta stragista” in corso a Reggio Calabria e che vede imputato il boss di Cosa Nostra, Graviano, e Rocco Santo Filippone.
Il processo da aggiustare
Tranchina, dopo aver ripercorso tutte le tappe della sua carriera mafiosa, sino al momento della collaborazione, ha spiegato che gli fu chiesto di andare a casa di una signora a Bova Marina, per un periodo brevissimo. «Dissi che ero Fabio», ha ricordato Tranchina al procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo. La donna spiegò al pentito che «per Giuseppe e per Filippo non si poteva fare niente. Per Benedetto la cosa era solo questione di soldi». Per Tranchina, dunque, era un problema «giudiziario in Cassazione». «Presi questo messaggio e tornai per riferirlo a Palermo. Mi fermarono i carabinieri ad un posto di controllo in Sicilia, dove iniziava l’autostrada che portava da Messina a Palermo, quindi orientativamente vicino allo svincolo di Falcone. I palermitani di Cosa nostra mi diedero l’indirizzo e il cognome che avrei trovato sul campanello: Vadalà. Mi dissero di andare a trovare questi amici nostri a Reggio Calabria».
Ma a quale processo fa riferimento il collaboratore di giustizia? Pur non avendo certezze in merito, Tranchina spiega che la sua sensazione fu quella che il procedimento fosse “Golden market”. E di tutto ciò riferì alle donne di Palermo. Tranchina ha poi ricordato di essere tornato più volte a Bova Marina e consegnò 20 milioni di lire al genero della signora «che aveva un ristorante lì su una collinetta».
Su domanda del procuratore Lombardo, circa il ruolo delle donne di Palermo, il collaboratore ha spiegato che «Nunzia Graviano mi disse con la sua bocca che “da questo momento in poi ci sono io», ha spiegato Tranchina facendo riferimento al mandamento. «Ci sono frasi che se vengono dette hanno un significato inequivoco», ha precisato il pentito.
«Ho accompagnato diverse volte Giuseppe Graviano agli imbarcaderi di Messina perché si spostava in treno per i suoi viaggi in Italia. Dopo le stragi, questi viaggi sono aumentati». E c’è anche un particolare di colore: la villa in Versilia dove stava Graviano, era quella dove in precedenza di era stato un noto calciatore.
Il viaggio a Gioia Tauro
Tranchina, su sollecitazione del pm, ricostruisce anche la visita di Cesare Lupo a Gioacchino Piromalli. «Partiamo da Melfi in direzione Sicilia. Lupo va in permesso, tutti nella stessa macchina e di ritorno Cesare Lupo disse alla moglie che ci saremmo dovuti fermare a Gioia Tauro a casa di Gioacchino Piromalli. Cesare mi disse che era stato suo compagno di cella, si fidava molto di lui. Facemmo questa tappa e lo trovammo in casa. Cesare aveva avuto l’indirizzo ed arrivammo. All’interno di quest’abitazione c’era un ascensore interno. Siamo stati in una cucina al piano di sotto, alla presenza di una donna. Cesare si appartò con questo signore a parlare».
Tutti a votare Forza Italia
Anche Tranchina parla del partito nato all’indomani della stagione delle stragi. «Di Forza Italia ne ho sentito parlare prima di finire in carcere. Poi quando sono andato dentro, tutti là in sezione votavano Forza Italia. Mi ricordo che c’era la diceria che, nel momento in cui questo partito fosse sorto, i voti li avremmo dovuti dare a loro. Se ne parlava prima che nascesse, già verso la fine del 1993».
Consolato Minniti