L’incidente probatorio che a Crotone ha visto protagonista uno dei sopravvissuti ha portato alla luce molti nuovi elementi relativi all’organizzazione della traversata che ha portato i migranti in Calabria
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«Furono gli scafisti a girare più video promozionali sul barcone», per vendere altri viaggi della speranza a chi cerca una nuova vita.
È uno degli aspetti emersi nella prima udienza dell’incidente probatorio chiesto dalla procura di Crotone nel procedimento contro i tre presunti scafisti indagati per la strage dei migranti a Steccato di Cutro: un pakistano di 25 anni (Khalid Arslan) ed un turco di 50 anni (Sami Fuat) presenti nell’aula 3 del tribunale di Crotone di fronte al gop Michele Ciociola. L’altro indagato, sempre di nazionalità turca (Gun Ufuk), era collegato in via telematica da Graz in Austria dove fu rintracciato in fuga, e non ancora estradato in Italia.
Sono tutti accusati di essere i responsabili del naufragio dei migranti avvenuto nelle acque di Cutro nel nefasto 26 febbraio scorso e che ha provocato, al momento, 94 vittime accertate, l’ultima sabato scorso rinvenuta sul bagnasciuga di Praialonga, spiaggia attigua a quella di Steccato.
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Una responsabilità che verrà accertata probabilmente con misure e carichi differenti tra questi presunti trafficanti che si dividono compiti di “mozzi” piuttosto che di esecutori e/o aguzzini. È indagato anche davanti al Gip del tribunale dei minori di Catanzaro, un quarto presunto scafista, l’unico minorenne, un 17enne pakistano.
Lo scopo del procedimento è dunque quello di raccogliere e cristallizzare testimonianze dei sopravvissuti alla tragedia con l’obiettivo di delineare il ruolo specifico di chi comandava (soprattutto) sulla nave, tanto che c’è anche un mai rintracciato (che potrebbe essere anche tra i deceduti non riconosciuti o tra gli ancora dispersi che ancora non ha restituito il mare).
Ma è anche noto che solo a Crotone i fascicoli aperti sono due, seguiti entrambi dal procuratore Giuseppe Capoccia, assistito dal sostituto Pasquale Festa, Ieri in aula appunto per i reati contestati agli scafisti o presunti tali; mentre il secondo fascicolo riguarda le eventuali falle nella catena dei soccorsi che presto dovrebbe poter trovare delineazione (ed anche contestazioni specifiche), ma che certamente troverà probabilmente materiale utile anche da questa udienza.
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Ieri mattina, infatti, sono arrivate dichiarazioni molto interessanti anche se rese da un solo sopravvissuto, l’iraniano Rezappourmoghaddam Motjabur che ha ripercorso passo passo il lunghissimo viaggio che ha avuto inizio da Istanbul fino alle tragiche ore notturne del naufragio a Steccato.
«Ho pagato 8.000 euro mettendomi d’accordo con un intermediario. Poi con due furgoni, assieme ad altri circa 60 migranti, ci hanno portati in questo quartiere con due palazzi non ancora finiti». Le dichiarazioni rese in più di un’ora, così come le domande del pm Festa prima, e degli avvocati di parte civile e della difesa dopo, devono avere più traduzioni: italiano iraniano e viceversa, e pakistano e turco in favore degli imputati, di cui uno pure in collegamento dall’Austria come detto, ma il racconto è limpido quanto drammatico; tanto che il teste procede anche alle richieste di identificazioni con sicurezza e precisione: «La partenza, da questo posto con i palazzi non finiti avvenuta tra il 20 ed 21 febbraio scorso verso il porto di Izmir (nome turco di Smirne, ndr) era prevista all’una di notte ed eravamo contenti dei due furgoni più grandi trovati sul posto» chiarisce il testimone.
Rezappourmoghaddam racconta anche delle 10 ore di viaggio su gomma e dei modi «maleducati» (così traduce l’interprete) che gli stessi pakistani a cui furono affidati già prima dell’imbarco. Il sopravvissuto chiarisce che dopo circa cinque ore di navigazione, cambiarono scafo perché il precedente dava problemi. Dopo il terzo riconoscimento parte anche una invettiva contro gli imputati: «Per una imbarcazione che valeva al massimo 20mila euro, che volevate riportare in Turchia, avete fatto morire donne e bimbi innocenti». Rammenta come anche nell’immediatezza dell’impatto con quello che lui definisce essere stato lo scoglio, abbia perso occhiali e poi, una volta in mare, sia riuscito ad aggrapparsi ad un pezzo di legno riuscendo ad aiutare solo una donna ed il suo bimbo.
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«Per guadagnare milioni di euro. Come fa la vostra coscienza a stare tranquilla?». L’uomo è lucido quando gli vengono sottoposte le foto per il riconoscimento in aula: «Lui non aveva modi maleducati, ma si vedeva che ascoltava ed osservava ed era meritevole di rispetto da parte degli altri» dice riferendosi a Sami Fuat.
«No lui non era tra i tre comandanti» afferma parlando di Khalid Arslan. Così come altrettanto chiaro è quando parla del tempo passato in acqua che non riesce a quantificare: «Mi è sembrato fosse una vita intera».
«Furono gli scafisti – dice rispondendo all’avvocato Falcone, uno dei legali per le parti offese - a girare più video promozionali sul barcone, sia sotto coperta che sopra, per propaganda, ci faceva radunare e ci faceva dire evviva, evviva».
L’avvocato di parte civile Francesco Verri, che assieme all’avvocato Luigi Li Gotti ed a un pool di penalisti assiste molti dei familiari delle vittime del naufragio di Cutro, a conclusione dell’udienza ha affermato che «la lunga, drammatica e circostanziata testimonianza di Rezappourmoghaddam Motjabur certamente aiuterà a ricostruire responsabilità».
La seconda parte della ricostruzione della deposizione dell’iraniano all’incidente probatorio nel procedimento contro gli scafisti, fa comprendere, ancora una volta, che il problema dei migranti non può essere affrontato con i restringimenti delle garanzie nazionali o europee.
È già dalle prime parole nella ricostruzione dell’inizio del viaggio in Turchia che si possono comprendere tanti altri aspetti che certamente condividono i migranti nella scelta del gran bazar del dolore a disposizione sui social che abbiamo pure raccontato in una inchiesta esclusiva su lacnews24.it.
Rezappourmoghaddam Motjabur ha cercato subito di far comprendere come ci si metta d’accordo sulla fiducia raccontando le varie fasi del viaggio che si conclude sulle coste italiane: «Si sceglie un intermediario che incassa gli 8.000 euro. Poi i passaggi da tratta a tratta fino alle 10 ore di viaggio ammassati e nascosti in un furgone a telefoni spenti».
Segue il trasferimento notturno al buio totale a gruppi di 20 persone per salire sulla prima bagnarola e poi la consegna ai pakistani che sia sulla prima nave/bagnarola, andata definitivamente in panne dopo 5 ore di navigazione, che sul caicco sfracellatosi a pochi metri da Steccato, diventano aguzzini a bordo anche se i capitani sono per lo più turchi apparentemente silenziosi.
Un racconto sempre chiaro e circostanziato che infatti ha messo nelle condizioni in aula l’avvocato di parte civile Francesco Verri di non dover fare troppe domande dopo l’interrogatorio del pm Festa; un resoconto che invece ha quasi naturalmente suggerito, allo stesso Verri, di commentarlo dopo fuori dall’aula, con una considerazione tanto semplice quanto ineludibile: «Se non ci pensano i corridoi umanitari a garantire a questi disperati dalle persecuzioni che subiscono nei loro paesi, ci pensano i delinquenti».