VIDEO | L'inchiesta, che vede alla sbarra il boss Teodoro Crea condannato a 20 anni di carcere, è scattata anche grazie alla testimonianza del sindaco Antonino Bartuccio. Le sue dichiarazioni, che hanno spedito in galera boss e gregari della 'ndrina, sono state valutate dal Tribunale «attendibili, lineari, congruenti e scevre da contraddizioni»
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È stata la cosca Crea a determinare la fine dell’esperienza politica del sindaco Antonino Bartuccio attraverso intimidazioni e minacce. È quanto si desume dalle motivazioni della sentenza con cui il Tribunale di Palmi ha condannato, il 18 aprile scorso, a 20 anni di carcere il boss Teodoro Crea e a 19 anni e 8 mesi il figlio Giuseppe, entrambi imputati nel maxi-processo scaturito dall’inchiesta “Deus”. Un ‘inchiesta portata a termine dalla Dda di Reggio Calabria anche grazie alla testimonianza del primo cittadino, che da quattro anni vive sotto scorta proprio per aver denunciato le ingerenze mafiose sull’amministrazione comunale. La ‘ndrina di Rizziconi, una delle più pericolose della piana di Gioia Tauro, per i giudici ha pilotato le dimissioni del giovane assessore Michele Russo- costretto dopo pochi giorni a lasciare l’incarico per volere diretto di Toro Crea e per le pressioni esercitate tramite il cugino Domenico Russo, condannato a 3 anni. Le sue dimissioni non permetteranno più a Bartuccio di avere una maggioranza e il consiglio comunale verrà sciolto dalla Prefettura. Per i giudici di primo grado, i Crea volevano annullare l'azione politica di Bartuccio con un vero e proprio isolamento politico. Ma Bartuccio non si è piegato al volere del clan e ha denunciato tutto.
Bartuccio ha detto la verità
E proprio sulle dimissioni “lampo” di Russo il racconto del sindaco «è attendibile- scrive il Tribunale in sentenza e le sue dichiarazioni solo lineari, congruenti e scevre da contraddizioni». C’è di più. Le sue parole sono anche «concordanti con la versione dell’accaduto prospetta alla polizia giudiziaria in fase predibattimentale. Esse erano inoltre, sottolineano i giudici, reiterate in modo costante ed unico nel susseguirsi dell’esame e del controesame e collimano con gli ulteriori dati probatori raccolti all’esito dell’attività istruttoria, rappresentanti dalle conversazioni telefoniche intercettate, dai documenti acquisiti e dalle altre deposizioni assunte in giudizio». In buona sostanza Bartuccio ha detto la verità sia agli investigatori della squadra mobile di Reggio Calabria, che hanno condotto le indagini insieme ai pm antimafia Alessandra Cerreti e Luca Miceli (adesso in forza ad altre Procure ndr), sia quando ha testimoniato in aula, sottoponendosi alle domande del sostituto procuratore antimafia Francesco Ponzetta e dei difensori degli imputati. I fatti raccontati da Bartuccio infine, sono stati riscontrati da una serie di prove raccolte durante il processo, come la conversazione registrata dal sindaco e ammessa come prova in dibattimento. Il padre dell’assessore Russo avrebbe detto di essere stato contattato da Teodoro Crea il quale avrebbe detto, tra tante cose, che «non avevano bisogno degli ottocento euro del Comune». Un’espressione che per i giudici è «indubbiamente interpretabile come un monito volto ad indurre il giovane assessore a deporre la carica, che aveva rafforzato la valenza intimidatorie dell’ imbasciata, recapitata da Domenico Russo, classe 1949, e al il quale il padre di Michele aveva ritenuto di non poter disobbedire». Infatti i Russo non disobbediranno alla ‘ndrina e l’assessore, dopo 3 giorni di mandato rassegnerà le dimissioni.
La procura appella alcune assoluzioni
All’esito del processo Teodoro Crea e Domenico Russo verranno condannati, ma il Tribunale derubricherà il reato da estorsione, così come contestato dalla Procura, a violenza privata aggravata dall’aver agevolato la ‘ndrangheta. Per quest’accusa -così come per quella di associazione mafiosa- è stato invece, assolto Antonio Crea, classe 1963 alias “ u malandrinu”, cugino del boss Teodoro per cui il pm antimafia Francesco Ponzetta ha già ricorso in Appello. Il pm Ponzetta, insieme al procuratore aggiunto Gaetano Paci e al procuratore capo Giovanni Bombardieri inoltre, ha appellato anche l’assoluzione dal reato di associazione mafiosa contestato a Domenico Russo nonché le assoluzioni rimediate da Vincenzo Tornese e Domenico Crea, classe 1954 detto “Scarpa lucida”. Ovviamente tutti gli imputati condannati in primo grado hanno appellato quanto deciso dal Tribunale di Palmi.
Le mani della cosca Crea sul Comune
Stando però, alle motivazioni depositate dai giudici, la ‘ndrina ha quindi esercitato un controllo asfissiante sula vita politica rizziconese e gli atti del processo “Deus” ci sono proprio, su questo aspetto, i verbali dell’ex braccio destro del mammasantissima Toro Crea, il collaboratore di giustizia Girolamo Bruzzese. La sera di Natale- nonostante fosse sotto protezione- è stato ucciso a Pesaro suo fratello Marcello e l’ordine di esecuzione, per gli inquirenti, sarebbe partito proprio da Rizziconi e sarebbe una vendetta per il suo "pentimento". Girolamo Bruzzese aveva ereditato il ruolo mafioso, all’interno della cosca di Rizziconi direttamente dal padre Domenico, ucciso in un agguato il 17 luglio del 1995 insieme al genero Antonio Madafferi. Un agguato che aveva registrato anche il ferimento all’addome di Marcello Bruzzese. Era il 20 ottobre del 2003 quando Girolamo Bruzzese, dopo un periodo di latitanza, decise di collaborare con l’Antimafia di Reggio Calabria, la stessa sera in cui tentò di uccidere Toro Crea. Il capocosca nonostante i colpi sparati alla testa riuscì a salvarsi, ma rimase invalido e costretto a rimanere su una sedia a rotelle per il resto della vita. Nonostante le condanne rimediate, alcune già passate in giudicate, all’esito del processo “Deus” Toro Crea è stato punito duramente in quanto ritenuto responsabile di essere a capo dell’omonima cosca. Per i giudici non ci sono dubbi: “Teodoro Crea deteneva la leadership di un’associazione mafiosa stanziata sul territorio di Rizziconi, dedita alla perpetrazione di estorsioni ai danni di imprenditori del luogo, alla concretizzazione di ingerenze nella sfera della politica locale, all’insaturazione di vincoli di cooperazione e di alleanza con omologhe organizzazioni criminali, come quella governata dalla famiglia Bellocco».