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«Non sono un’anziana, sono una donna, una madre che cerca da quaranta anni la verità e che chiede giustizia per la scomparsa di mio figlio e di altri, ma anche per costruire memoria di quanto accaduto». A 92 anni Maria Bellizzi porta sul volto i segni di una lotta che non ha mai conosciuto riposo e che l’ha portata anche ad attraversare il mondo per tornare nel suo Paese natale, l’Italia, e testimoniare all’interno di uno dei processi più importanti sui crimini internazionali: il processo Condor.
Processo Condor, volge al termine il dibattimento sui desaparecidos
Accanto a lei sempre la figlia Silvia, sorella di Andrès scomparso a 25 anni nel 1977 durante gli anni della dittatura argentina. E come Andrès sono tanti, circa una cinquantina, i desaparecidos di origine italiana inghiottiti dal nulla e spesso imprigionati, seviziati, uccisi, spesso anestetizzati e buttati giù nell’oceano dagli ‘aerei della morte’ al saldo del generale Jorge Rafael Videla. Un vero e proprio governo militare basato sull’uso di un apparato repressivo e segreto che realizzò circa trecentoquaranta centri di detenzione clandestina dove dal 1976 al 1982 passarono oltre 30 mila desaparecidos. Centri in cui uomini e donne venivano stuprati, torturati, portati alla follia.
Maria è originaria di San Basile, nel cosentino, in Calabria, ma si trasferì in giovane età con i genitori in Uruguay dove ancora vive e dove con il marito si costruì una vita dignitosa fino a quando con il colpo di Stato del 1973 iniziò il periodo della repressione.
«Dai sindacati, alle onde studentesche, fino ai partiti politici, chi si opponeva finiva in prigione o assassinato – racconta Silvia - fu per questo motivo che mio fratello decise di lasciare l’Uruguay e di andare in Argentina. Ma lì la sua sorte non fu migliore».
Andrès, ragazzo timido e solitario, non era un attivista di prima linea e lavorava come grafico pubblicitario oltre che in un piccolo negozio di alimentari. La chiave della sua scomparsa potrebbe risalire all’arresto avvenuto durante una manifestazione contro il colpo di Stato uruguaiano avvenuta a Buenos Aires anni prima che sparisse. Il suo nome risulta tra i 101 detenuti con la specifica di non avere precedenti politici e penali. Ma per avere i documenti da cui risulta quanto accadde Silvia e Maria hanno dovuto attendere il 2015 quando si sono recate a Roma per testimoniare al processo Condor. Ben 38 anni di silenzio appesantiti dalle cosiddette “leggi di impunità”. Fino al 2005 quando vennero aperti i processi. Negli anni molte madri che avevano portato avanti la loro battaglia insieme a Maria sono morte. Maria e Silvia lottano anche per loro.
«Sappiamo benissimo che è impossibile che Andrés sia vivo – dice Silvia - i corpi ritrovati sul Rio de la Plata, probabilmente di coloro che furono gettati ancora vivi dagli aerei della morte, e altri rinvenimenti ci hanno fatto capire che sarebbe illogico pensarlo. Non abbiamo speranze in questo senso, ma vogliamo giustizia e ricostruire la memoria storica di quanto accaduto».
La paura di Silvia è che anche oggi la volontà di fare luce sia frenata e non totale. Della detenzione di suo fratello non c’è traccia. Ma alcuni archivi storici, fa notare, sono stati trovati anche in casa di militari e le ricerche dovrebbero riprendere, altrimenti altri personaggi dell’epoca moriranno portando con sé tutto ciò che sanno.
A rincuorare le due donne, madre e figlia, sono state le parole di Papa Francesco che dopo averle incontrata ha detto loro: «Andate avanti».
Tiziana Bagnato