C’è chi ha visto la malattia peggiorare gradualmente o ha perso i passi in avanti fatti. C’è chi, invece, ha dovuto aumentare la dose delle medicine perché la quarantena gli ha procurato disturbi comportamentali. E poi, ancora, ci sono familiari diventati caregiver a tempo pieno, h24, senza alcuna possibilità di distrazione. La quarantena per chi soffre di Alzheimer o di altre demenze e per i suoi familiari può essere particolarmente difficile da sostenere.

 

Senza la possibilità di uscire, senza il conforto di figli e nipoti, senza luce naturale, senza stimoli, alcune situazioni si esacerbano, altre si incancreniscono. Lo sanno bene i familiari dei pazienti in cura al Centro Regionale di Neurogenetica, guidato dalla neuroscienziata Amalia Bruni, che fino a pochi mesi fa hanno lottato affinché la struttura non venisse declassata ad ambulatorio e ora si ritrovano a potere avere consulti medici e psicologici solo via telefono.

 

La testimonianza di Giovanna

Giovanna è la moglie di Franco, 65 anni, affetto da demenza vascolare e Alzheimer. La sua vita è cambiata da anni, ha subito una vera e propria destrutturazione, ma ora la quarantena per il Covid-19 ha dato uno scossone alla nuova routine alla quale si era abituata. «L’atteggiamento di mio marito – spiega Giovanna - è cambiato radicalmente, prima era impegnato ad andare al Centro. Vorrebbe uscire e camminare perché è questo che gli piace fare. Non potendolo fare si innervosisce diventando intrattabile, di conseguenza ho dovuto raddoppiare le dosi previste della terapia perché in casa, in alcuni momenti, la situazione è a dir poco surreale». «Non è facile tutto questo, sicuramente la forza dei caregiver deve essere tanta, perché quando si affrontano situazioni particolari dopo si è spompati da tutte le energie. La speranza è che il governo possa prendere provvedimenti seri che siano in grado di contrastare il Covid, ma che allo stesso tempo permettano di trovare una soluzione per le persone con disturbo comportamentale».

 

La moglie di Paolo

C’è poi Paolo la cui moglie soffre di una forma precoce di Alzheimer che fino ad ora grazie alle cure e al sostegno del Centro di Neurogenetica era avanzata molto lentamente. La quarantena ha però segnato una linea di demarcazione, proiettando la moglie in una situazione nuova e priva di stimoli che sta portando ad una degenerazione più rapida. «La costrizione in casa ha accelerato il danno. L’iniziativa di fare è ridotta alle sole incombenze casalinghe, ripetitive o con poche varianti. La sedentarietà e l’assenza di luce naturale, quindi vitamina d, la rende debole». Paolo ci spiega che «restringere e limitare il movimento riduce gli stimoli nella sfera complessiva della persona. Ridurre in ampiezza le occasioni di esserci (la strada, il negozio, i conoscenti, i nipoti ed i figli, gli amici, ecc) ha indebolito di molto la capacità di reazione verso il mondo esterno».

 

Chi ha una patologia grave poco percepisce di quello che sta accadendo e il peso va sulle spalle dei caregiver. Come Fausto che non può uscire per distrarsi, che è chiuso in casa con una moglie che ama tantissimo ma con la quale non può più dialogare e con una badante che comprende poco l’italiano. Mancano gli affetti, i sostegni emotivi, le distrazioni, tutto ciò che riallaccia al senso fluido della vita.