«Serve una soluzione definitiva. È essenziale eliminare rapidamente gli ostacoli burocratici che impediscono l’apertura degli alloggi destinati ai braccianti e investire in futuro su iniziative che siano in grado di coniugare abitare e lavoro, garantendo al contempo la sostenibilità economica e sociale». È una presa di posizione netta quella dei medici di Medu (Medici per i diritti umani) che, a distanza di dieci anni dai primi interventi a Rosarno e nella piana di Gioia Tauro, rilancia l’allarme sulle condizioni subumane in cui sono costretti a vivere i migranti che si occupano della raccolta degli agrumi.

I medici, presenti due volte a settimana nella tendopoli di San Ferdinando e negli insediamenti (abusivi e non) di Taurianova e delle campagne della zona, sottolineano come a distanza di ormai 13 anni dalla rivolta che esplose tra le vie di Rosarno, le cose siano cambiate poco o nulla. Anzi. A peggiorare l’inferno della ex tendopoli e dei casolari abbandonati tra gli agrumeti e stipati di lavoratori poi, anche la beffa dei tanti soldi pubblici investiti (in alloggi e centri di aggregazione) che non hanno portato a nulla o quasi. «Cinque milioni e mezzo sono stati spesi ad oggi per la realizzazione di alloggi che non hanno mai aperto i battenti. Di questi, 3 milioni provengono dall’Unione europea – scrivono ancora i dottori di Medu – e sono stati destinati alla costruzione di sei edifici per un totale di 36 appartamenti a Rosarno. Ulteriori 2 milioni sono stati stanziati dal Ministero dell’interno per la creazione del “villaggio della solidarietà” su un terreno confiscato ai Bellocco. Infine 650mila euro sono stati investiti per la realizzazione di un centro polifunzionale mai attivato in contrada Donna Livia, nel comune di Taurianova».

E mentre le palazzine che dovevano essere assegnate alle famiglie di braccianti agricoli (raccoglitori, ma anche potatori e operai specializzati) per favorirne l’integrazione nel tessuto sociale di Rosarno continuano a rimanere desolatamente vuote, la situazione all’interno della baraccopoli alle spalle del porto – prima chiusa da Salvini a favore di telecamere e poi riaperta, pochi mesi dopo, a non più di 500 metri di distanza – continua ad essere fuori controllo. Niente allacciamento all’acqua corrente o all’elettricità: sotto quello che resta delle tende del Ministero ci si scalda con il fuoco vivo e ci si lava comprando secchi d’acqua riscaldata sulle braci. «La situazione di estremo degrado, abbandono e illegalità riscontrabile negli insediamenti informali – scrivono ancora i Medici per i diritti umani – è sintomo di un male cronico, che affligge la realtà socio-economica della Piana e al quale sembra impossibile porre rimedio».