Un’odissea drammatica che va oltre la vita. A distanza di due settimane dal naufragio consumatosi a 120 miglia al largo dalle coste ioniche reggine, anche esanimi, i migranti continuano il loro pellegrinare. Una delle decine di salme recuperate – il numero totale ufficiale di 36, diffuso dopo una serie di informazioni frammentarie delle autorità, già messo in discussione da un altro bollettino rimasto riservato tra Guardia Costiera e Ministeri ma diffuso da Radio Radicale che parla di 41 cadaveri recuperati – è arrivata a Reggio Calabria ieri sera.

È stata accolta presso l’obitorio del plesso Morelli del Gom. Si tratta di una donna che era in stato avanzato di gravidanza quando ha intrapreso quell’ultimo viaggio in mare al quale lei e la vita che portava in grembo non sarebbero sopravvissute.

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Il cognato siriano, giunto dall’Inghilterra, ha seguito la salma fin qui per poter eseguire il riconoscimento. Pare ci fossero tre donne in viaggio in gravidanza avanzata. Dunque sarebbe stato necessario individuare altri elementi.

Il riconoscimento, però, non è andato a buon fine. Le condizioni del corpo, a causa delle due settimane già trascorse dalla tragedia e anche della permanenza imprecisata dello stesso corpo in acqua subito dopo il naufragio non hanno consentito all’uomo di essere certo che si potesse trattare della moglie del fratello. Data la mancanza di parentela diretta non sarà percorribile neppure la strada del riconosciuto tramite Dna. Lo strazio nello strazio. L’uomo aveva oggi con sé una foto della famiglia del fratello. Quest’ultimo viaggiava dalla Siria con la moglie incinta e sue bambine, al momento tutti dispersi. La frammentarietà delle informazioni rese su questo naufragio sta investendo non solo il momento dei soccorsi ma anche la gestione delle salme. Continua a leggere su IlReggino.it