Domenico Macrì all’anagrafe, Mommo per tutti. È un tipo avvezzo all’uso delle armi. Le sue «capacità militari» vengono valorizzate dagli inquirenti e dal gip che ne ha disposto l’arresto nel contesto della maxi-operazione “Rinascita Scott”. Elemento di punta del rinato «clan dei Ranisi», s’è fatto le ossa all’ombra di Andrea Mantella, quando questi era ancora un implacabile sicario ed il vertice di una falange scissionista entrato in aperto conflitto col clan Mancuso. Un fatto mostra eloquentemente la spiccata personalità di Macrì: quando comprese che Mantella stava per saltare il fosso per iniziare una collaborazione con la giustizia, fu lui il primo a cercarlo spasmodicamente per convincerlo a non cedere.

Il ragazzetto un po’ spavaldo, con la carcerazione che seguì l’onda lunga dell’operazione “The Goodfellas - I bravi ragazzi”, è così divenuto presto un tipo dal quale guardarsi, senza paura nel misurarsi coi pezzi da novanta del crimine organizzato della provincia. Un tipo che, irascibile e violento, con la sua irruenza rischiava di scatenare una nuova guerra di mafia. Non è affatto una comparsa, Mommo Macrì, ma è un protagonista dello scenario criminale ricostruito dal pool di Gratteri e dai carabinieri del Ros e del Nucleo investigativo di Vibo Valentia.

L’intercettazione

L’8 gennaio del 2018, alla vigilia delle elezioni politiche, viene intercettato mentre parla con un uomo che chiama «avvocato». È una captazione interessante, perché ci proietta all’attualità ed al futuro degli assetti istituzionali della città di Vibo Valentia. L’avvocato dice: «Ma perché poi stare ancora con Censore, con tutto il rispetto per Censore, che fa Censore? Puoi stare con Censore? Oggi mi diceva Vito “Eh, ma stiamo al governo”… ma che cazzo racconti? Che siamo nel caos più totale! Gli ho detto io». Censore fanno presto ad identificarlo, i carabinieri: è il deputato uscente, poi non confermato alle successive elezioni. «Tale Vito», scrivono i militari dell’Arma, è «soggetto riconducibile a Pitaro Vito, già assessore del Comune di Vibo Valentia ed esponente del Partito democratico così come il primo».

«Luciano è adesso…»

Mommo ribatte: «Luciano è adesso, Vito si può ritirare a casa». Anche se, tiene a precisare Macrì: «Vito a me mi rispetta». I carabinieri sintetizzano il pensiero dell’indagato che sostiene come sia Censore che Pitaro «stessero ormai vivendo una decadenza politica e considerando il futuro esponente di spessore del Pd e della politica vibonese il citato Luciano Stefano, attuale presidente del consiglio comunale cittadino». La sottolineatura degli inquirenti è molto suggestiva: siamo nel gennaio del 2018, Luciano è presidente del consiglio comunale di Vibo, ma solo molto dopo aderirà al Partito democratico, assieme al suo braccio destro Alfredo Lo Bianco (diversamente da Luciano, indagato in “Rinascita Scott”).

Pitaro (che, come Censore, non è indagato) - secondo Macrì - è ormai il passato, il futuro è invece Luciano: «Sì… vuole crescere… che è un amico poi… nel senso che… sa come… poi perché vuole crescere, quando uno vuole crescere qualcosa la combina».

Una previsione sbagliata

Mommo si sbaglia, però, perché Pitaro non è affatto in una fase di decadenza ma si renderà protagonista di una raffinata strategia politica: stringerà un patto d’acciaio col senatore Giuseppe Mangialavori, scaricherà il Partito democratico e, spostando il suo cospicuo pacchetto di voti, metterà il sigillo sulla vittoria del centrodestra alle elezioni comunali del 2019, guadagnando così la candidatura nella lista della governatrice Santelli alle elezioni regionali del 2020 e l’elezione a Palazzo Campanella. Sconfitto alle comunali di Vibo Valentia, invece, è proprio Stefano Luciano, che diviene il capogruppo del Partito democratico in consiglio.

Come si forma il consenso?

Le comunali, già. C’è abbastanza materiale - nella maxi-inchiesta “Rinascita Scott” - per riscrivere davvero la storia segreta della politica di Vibo Valentia dalla metà degli anni ‘90 ad oggi. E ci sono spunti investigativi che sono suscettibili di approfondimento per cercare di spiegare come si forma e si sposta il consenso elettorale. Certo, ci sono i professionisti, medici, avvocati, commercialisti, coi loro assistiti. C’è chi ha tanti parenti e tanti amici di buona parola. E poi ci sono quelli che hanno gli “strumenti”.

E strumento, presunto, per macinare consenso, secondo alcune emergenze investigative, sarebbe stata l’ormai decotta Banca di Credito cooperativo di Maierato, oggetto di un’ispezione della Banca d’Italia, quindi di un’indagine della Procura di Vibo Valentia per le sue spericolate operazioni, poi protagonista della fusione con la Banca di Credito cooperativo di San Calogero. Ne avevamo già parlato pubblicando le intercettazioni di Giovanni Giamborino, indiziato di essere il faccendiere di fiducia del superboss Luigi Mancuso: «Se tu pensi che a Piscopio, Vito Pitaro, ci sono cinquanta ragazzi che hanno il conto corrente, tutti con cinquemila euro di scoperto, con la carta di credito… ragazzi che non l’hanno mai vista… tutti lui! E, allora, per questo gli davano i voti, hai capito?».  

Il collaboratore ed il presunto narcos

Intercettazione che ne richiama un’altra, questa agli atti di un processo attualmente in corso, “Rimpiazzo”, contro il clan dei Piscopisani. No, non alludiamo all’amichevole conversazione tra Vito Pitaro (a carico del quale, precisiamo anche qui, non vi è alcuno spunto penalmente rilevante) e Rosario Fiorillo, il killer feroce e sanguinario che, per dirla con il collaboratore di giustizia Raffaele Moscato, «t’ammazzava per niente». L’intercettazione è quella tra Benito La Bella, attualmente imputato per mafia e narcotraffico, figlio del più noto “Micu Revolver”, e Giuseppe Cutrullà (non indagato) consigliere comunale di Vibo Valentia, componente del gruppo di Città futura nonché “collaboratore esperto” della struttura speciale che assiste il consigliere regionale Pitaro.

La sintesi è della Sezione antidroga della Squadra mobile di Vibo Valentia: «La Bella dimostra un notevole interesse per l’acquisizione di quote derivanti dalla fusione di due banche locali, motivando l’interesse con il fatto che diventando soci azionari della nuova banca potranno accedere al credito in modo più semplice e quindi avere disponibilità di denaro nei loro affari leciti e non». Di quale banca in attesa di fusione di parlava? Forse della Bcc del Vibonese, che avrebbe messo insieme la Bcc di San Calogero e ciò che restava di quella di Maierato?

La Bella chiedeva un quadro dei «paesani» che avevano già acquistato quote. Il consigliere di Vibo Valentia Giuseppe Cutrullà dimostrava di avere una visione ampia, articolata e puntuale. C’erano diversi privati e diverse aziende «paesane» che avevano investito in quella fusione, tra cui diversi attenzionati proprio dall’antimafia.

Precisiamo che dal brogliaccio dell’intercettazione non si fa riferimento a fatti o circostanze chiaramente illecite e che il consigliere comunale Cutrullà è estraneo a contestazioni di reato.