Il Papeete conduce dritto dritto in Polonia, dove probabilmente si è definitivamente conclusa la parabola politica di Matteo Salvini. Sono passati due anni e mezzo dalla famosa sortita del leader della Lega nel locale di Milano Marittima dove decretò la fine dell’esperienza di governo con i Cinquestelle e mise sul piatto il suo all-in evocando per sé pieni poteri. Da allora Salvini non ne ha imbroccata una: le elezioni non ci sono state e oggi è costretto obtorto collo a sostenere l’esecutivo Draghi con i suoi vaccini e green pass per non scomparire nell’ombra di Giorgia Meloni.

Nel tentativo di risalire la china ha sposato la causa più popolare del momento, quella della resistenza Ucraina contro l’invasore russo, cercando di far dimenticare anni, forse decenni, di sostegno incondizionato e ammirato a Vladimir Putin. Il leader del Cremlino, fino a due settimane fa, era il faro del sovranismo mondiale e, dunque, anche della Lega salviniana.  «Il miglior uomo di governo al mondo», lo definì Salvini nell’anno del Papeete, assicurando che se qualcuno gli avesse proposto di fare cambio con Renzi avrebbe accettato «al volo». E per Mosca, appena qualche anno prima, nel 2015, si spendeva con parole di miele: «Una città pulita, senza un mendicante o un lavavetri, dove la polizia è discreta ma se sbagli paghi». Lo stesso anno, il 2015, in cui faceva battute del tipo: «Cedo due Mattarella per mezzo Putin».

Insomma, questo era lo spartito e Salvini non ha mai smesso di cantare la sua canzone preferita. Almeno fino a quando il leader del Cremlino non ha deciso di invadere l’Ucraina, mostrando anche a Matteo il rovescio della medaglia sovranista. A quel punto, avrebbe potuto scegliere di stare zitto o, come ha fatto Berlusconi, altro storico estimatore del leader russo, mostrare una contrita e dignitosa incredulità, per poi eclissarsi in un silenzio imbarazzato.

Matteo, invece, ha deciso di mettere in scena un nuovo show. Si è bardato idealmente con la bandiera del pacifismo, ha dato fiato alle trombe e ha annunciato la sua marcia verso il confine ucraino, cercando di coinvolgere anche Papa Francesco.

Alla fine è partito solo ed è arrivato a Przemysl, in Polonia (paese Nato in prima linea nella crisi ucraina, soprattutto per il flusso di profughi). Qui avrebbe dovuto arringare una piccola selva di telecamere e microfoni per una nuova, spericolata arrampicata sugli specchi della incoerenza politica. Invece, l’amara sorpresa: il sindaco della città polacca gli ha sventolato in faccia la maglietta con il volto di Putin che in passato Salvini aveva indossato con orgoglio passeggiando sulla Piazza Rossa. «L’ho invitato a visitare un centro umanitario o venire al confine con me - ha spiegato il primo cittadino polacco -. Volevo che vedesse con i suoi occhi cosa ha provocato il suo amico, e anche lui, come sostenitore di Putin».

Momenti concitati durante i quali il leader del Carroccio ha cercato di balbettare una replica impossibile per poi girare sui tacchi e desistere. Quisquilie italiane di cui nessuno in Ucraina si accorgerà, troppo impegnato com’è a salvare la pelle dai bombardamenti.

Ma tutto questo è accaduto a quello che appena 4 anni fa era il ministro dell’Interno, attualmente leader del terzo partito italiano (era il primo ai tempi del Viminale leghista). Insomma, l’Italia non ci fa una gran bella figura e l’effetto Papeete, stavolta, lo scontiamo un po’ tutti.

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