Breakfast, il pm Lombardo, in conclusione di requisitoria, ricorda come l’ex parlamentare ottenne tramite società fiduciarie la certificazione antimafia dalla Prefettura reggina
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I più grandi appalti degli anni ‘90 appannaggio di Amedeo Matacena. Dal tapis-roulant al lungomare, passando per il palazzo dello sport, palestre e questura. Tutti firmati da imprese che sono riconducibili in via indiretta ad Amedeo Matacena. È questa la ricostruzione del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo al processo Breakfast in corso ora all’aula bunker di viale Calabria.
Fiordelisi ha collaborato
Il pubblico ministero si sofferma dapprima sulla posizione di Mariagrazia Fiordelisi, spiegando come ella sia l’unica alla quale è possibile applicare delle attenuanti, proprio per il suo contributo fornito nel corso dell’inchiesta. «Per essere chiaro, Fiordelisi non dimostra alcuna forma di reticenza nella sua ricostruzione, anche se non riesce, per forza di cose, a fornire la prova della sua estraneità a determinate condotte. Posso dire – spiega Lombardo – che Fiordelisi è l’unico soggetto collaborativo che noi individuiamo nel corso della lunga indagine e del processo che ci occupa. Il suo contributo non è fuorviante e non è una mera difesa, ma un contributo vero nel momento in cui spiega quando arriva a diventare amministratore unico delle società e dice di aver fatto delle cose su indicazione di Matacena e Rizzo».
Le opere pubbliche fatte da Matacena
Lombardo continua il suo intervento citando alcune opere pubbliche che sono state realizzare da Matacena, attraverso una galassia di imprese non direttamente a lui riconducibili, ma, di fatto, da lui controllate. E parte dal tapis-roulant, «vanto dell’amministrazione Scopelliti. Che – è l’inciso del pm – funziona un giorno sì e 30 no, sebbene io non vada molto al centro di Reggio Calabria». Ma poi c’è il palazzo dello sport, piazza Orange, la palestra di Reggio Calabria, la questura reggina, la pista dell’aeroporto, nonché il lungomare. «Questo ci rassegna un dato drammatico e cioè dell’assoluta inutilità delle cosiddette informazioni antimafia e ciò lo si ricava dalla semplice analisi di questo breve elenco che vi ho fatto, nella misura in cui, senza poteri istruttori, la Prefettura di Reggio Calabria non ha potuto comprendere chi si celasse dietro determinati schermi societari. E questo è gravissimo. La ragione? Gli schermi – è l’affondo di Lombardo – che ruotano attorno alle figure di Matacena non hanno consentito di comprendere come lui fosse l’effettivo dominus di soggetti che stipulavano contratti aventi ad oggetto opere pubbliche e gli hanno consentito di eludere gli sbarramenti previsti dalle norme antimafia». Il commento è durissimo: «Tutto questo è ridicolo. Di fronte ad una schermatura fiduciaria tutto si ferma. Per gli organi amministrativi di questo Stato, tutto era a posto. Ci voleva forse il lavoro della Dia di Reggio Calabria?».
Cosa sapeva Chiara Rizzo?
Non usa mezze parole il pm. Secondo lui «Amedeo Matacena è l’unico nella storia giudiziaria reggina e forse anche nazionale a dire ad un Rosmini: “Io non ti pago, perché se continui a insistere quello che sei tu lo faccio diventare un altro». Si domanda il pm: «Chiara Rizzo tutto questo lo sapeva? Può aver proseguito consapevolmente la gestione dei rapporti con la cosca Rosmini per gli appalti della Cogem? Emerge un quadro strutturato di rapporti e relazioni in favore della ‘ndrangheta unitariamente intesta. La continuità operativa di Chiara Rizzo in relazione al ruolo del marito devono essere valutate anche in merito alla piena integrazione del delitto di cui all’articolo 12 quinquies con l’aggravante mafiosa. L’operatività che Matacena continua a mantenere ottenendo la certificazione antimafia si traduce in una operatività a favore della ‘ndrangheta reggina nelle sue articolazioni territoriali». E giù con l’elenco delle società di fornitura in odore di ‘ndrangheta. Tuttavia, «dalle analisi fatte a livello amministrativo, nei confronti di Cogem e soci non sussistevano tentativi di infiltrazione mafiosa».