Un livello base, ovvero «’ndrine e locali». Poi quello intermedio, «la Caddara», un direttorio del quale avrebbero fatto parte gli storici maggiorenti della ‘ndrangheta: Saverio Razionale, Rosario Fiarè e Filippo Fiarè, Giuseppe Mancuso detto 'Mbrogghia, Peppone Accortinti, Raffaele Fiammingo, Carmine Galati, Antonio e Michele Vinci. Chi oggi vivo e in galera, chi morto. Infine il livello superiore, ovvero «il Crimine», Luigi Mancuso. È questa la struttura organizzativa della ‘ndrangheta portata alla sbarra nel maxiprocesso Rinascita Scott dal pool di Nicola Gratteri sulla quale, nell’aula bunker di Lamezia Terme, il pm Antonio De Bernardo ha avviato la requisitoria della pubblica accusa.

Il pm entra nel vivo passando in rassegna il narrato dei collaboratori di giustizia: da quelli storici ai più recenti, che dalla metà degli anni ’80 fino ai giorni nostri, hanno dettagliato lo strapotere del clan Mancuso e, in particolare, di Luigi Mancuso, una sorta di eminenza del crimine organizzato il cui profilo aleggia sul maxiprocesso malgrado la sua posizione sia stata stralciata per confluire nel procedimento parallelo denominato Petrolmafie. «È un dato pacifico, quello tratteggiato dai collaboratori dell’epoca – spiega De Bernardo – che riflette ciò che dicono i collaboratori più attuali».

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Il pm, richiamando il narrato dei pentiti, contestualizza nel panorama calabrese il Crimine di Vibo Valentia, sia in chiave storica, sia in termini di equilibri mafiosi. «I Mancuso, nelle varie dichiarazioni, vengono da sempre considerati legati a Polsi, attraverso la linea di Gioia Tauro, quindi i Piromalli, quindi il Mandamento Tirrenico», senza però ignorare «gli stretti rapporti con i De Stefano di Reggio Calabria». Tra le gole profonde, De Bernardo evidenzia l’importanza assunta nell’economia del processo da Cosimo Virgiglio, l’ex commercialista e massone, già fiduciario dei Molé, che apre un mondo sui rapporti tra ‘ndrangheta e poteri palesi e occulti, ma che aiuta anche a decriptare i vari livelli della ‘ndrangheta, dalle basi al Crimine di Polsi, ovvero la madre di «tutti i Crimini, che fungono da camere di controllo».

«Dal livello più basso a quello più alto, dal collaboratore Rosario Michienzi, ai siciliani – spiega il pm – vediamo come in maniera speculare da tutti venga visto Luigi Mancuso». Molto più che un capo, dunque, un «capocrimine», interlocutore – assieme al nipote Giuseppe detto ‘Mbrogghja – per ‘ndrine e locali del Vibonese e ben oltre, ma anche per Cosa nostra, quando dopo Capaci e via D’Amelio la Cupola intese chiedere l’appoggio dei calabresi per lo stragismo nel Continente. Il suo carisma, avrebbe poggiato sulla fedeltà della sua famiglia innanzitutto e poi di altri gruppi criminali di spessore sul territorio. «I Fiaré su San Gregorio d’Ippona, i Lo Bianco su Vibo Valentia», spiega il magistrato della pubblica accusa, richiamando il narrato dei collaboratori di giustizia. Luigi Mancuso «è così da sempre, ancora oggi – evidenzia il pm – e lo dimostrano le ultime indagini che abbiamo compiuto, da Olimpo a Maestrale-Carthago».

Sono però in particolare Andrea Mantella e Bartolomeo Arena, i collaboratori di giustizia moderni, con ruoli significativi in seno alla ‘ndrangheta nella città capoluogo di provincia, a tratteggiare «l’attualità»: le affiliazioni, le doti, i livelli, il ruolo di Luigi Mancuso, il potere dei Mancuso legato al Crimine di Polsi.  Un «mito», spiega Mantella, parlando del superboss di Limbadi, al quale, da Saverio Razionale a Peppone Accorinti, ovvero i boss di maggiore spessore dell’intero territorio, avrebbero fatto capo a tutti i livelli le famiglie del crimine organizzato. «Accanto a questo ruolo di Luigi Mancuso – evidenzia De Bernardo – si fonda una sorta di direttorio nel quale poi entrerà anche Rocco Anello, centrale in un altro nostro procedimento, Imponimento». Quanto a Bartolomeo Arena, invece, il pm spiega come il suo narrato offra riscontro plastico alla ricostruzione accusatoria, facendoci entrare nella «vita quotidiana, dalle più insignificanti alle meno importanti», perché ne faceva parte proprio fino all’alba dell’operazione Rinascita Scott. E per rimarcarne il valore, il pm proietta in aula la foto, acquisita dal procedimento Crimine, che ritrae il bacio tra Bartolomeo Arena, accompagnato dallo zio Domenico Camillò, da don Micu Oppedisano, il capo del Crimine di Polsi.