I due usavano nomignoli che richiamavano a Bernardo Provenzano e Totò Riina. In una delle intercettazioni contrattavano il prezzo di una partita di droga
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I ruoli criminali di Francesco Suriano e Roberto Porcaro, individuati dalla Dda di Reggio Calabria, relativamente all’operazione Crypto, dimostrano come un presunto narcotrafficante - l’uomo di Amantea - possa elevarsi a pari livello di un presunto reggente di una cosca, nel caso di specie quella Lanzino-Patitucci di Cosenza. Perché l’attualità parla di una situazione ben diversa da quella rilevata dalla Guardia di Finanza di Catanzaro e dallo Scico di Roma. Nei messaggi criptati intercettati dagli investigatori emerge che Suriano chiama “Zi Binnu”, Roberto Porcaro, evocando il boss di Cosa Nostra, Bernardo Provenzano, mentre Porcaro chiama “Zu Totò”, Suriano, ricordando il capo dei Capi, Totò Riina. Ma sono due nomignoli che, alla prova dei fatti, non coincidono con l’attuale spessore criminale.
Operazione Crypto, il “reggente” della cosca “Lanzino”
Porcaro, infatti, prima di essere attinto dall’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del tribunale distrettuale di Reggio Calabria, si trovava in carcere per l’operazione “Testa di Serpente”, un’inchiesta della Dda di Catanzaro condotta contro Porcaro ed altri presunti esponenti della ‘ndrangheta cosentina, che avrebbero messo sotto tiro alcuni imprenditori e commercianti al fine di estorcere denaro. In questo caso, però, non è stata contestata l’associazione mafiosa, bensì l’ex articolo sette (oggi 416-bis.1).
Per le forze dell’ordine che operano a Cosenza e dintorni, Porcaro, quando Francesco Patitucci era in carcere, aveva assunto il ruolo di reggente della cosca “Lanzino-Patitucci”, uscendo con una sentenza d’assoluzione nel processo per l’omicidio di Luca Bruni, sia in primo grado sia in appello. Quindi, parliamo di un soggetto che, insieme ad altri associati, ha avuto la possibilità di controllare realmente il territorio diviso in zone, soprattutto per quanto riguarda il traffico di sostanze stupefacenti. Porcaro, secondo la Dda di Catanzaro, è (o è stato) un vero capo.
Operazione Crypto, il profilo di Suriano
Le vicende giudiziarie di Francesco Suriano, invece, iniziano dal 2010 in poi, quando ancora 30enne, finì coinvolto in un’indagine della Dda di Catanzaro contro esponenti della criminalità organizzata cosentina. L’inchiesta riguardava infatti alcuni reati di estorsione aggravati dal metodo mafioso, contestazione che per Suriano, fino a ieri residente lontano dalla Calabria, era rimasta solida fino al giudizio definitivo della Suprema Corte di Cassazione. Per gli investigatori dell’epoca, Suriano aveva aiutato il clan “Lanzino”, lo stesso di Porcaro, ad aumentarne il prestigio mafioso, arricchendo la “bacinella” della medesima cosca. Per ultimo, nel 2016 fu raggiunto da un provvedimento di confisca, eseguito dalla Dia di Catanzaro, perché dal 2001 al 2013 avrebbe dichiarato redditi nulli o irrisori.
All’epoca il valore complessivo dei beni confiscati dalla Dia era superiore al milione e 200mila euro e comprendeva negozi di abbigliamento, quattro immobili, polizze e alcune quote di una società che gestiva campi di calcio, di una società di pulizie e rimozione neve. Suriano, per la cronaca, è il nipote di Tommaso Gentile, esponente di spicco del “crimine” di Amantea.
Operazione Crypto, i messaggi intercettati
Passando alle carte dell’inchiesta “Crypto”, Suriano e Porcaro si scambiavano sms in codice. La cocaina diventava “bici”. Ecco un esempio. «Zu totò buona sera. ma con queste bici che dobbiamo fare? Il prezzo è calato vengono tanti e mi propongono a 30. Dimmi tu.. fai un ritocco che prendo 2 bici» scriveva Porcaro, chiedendo di pagare il carico di droga a meno di 30mila euro al chilo. La risposta di Suriano, era la seguente: «Hahahaha buonasera zi binnu. Come sei tirato dai che per due il prezzo e doc.mi rimane giusto un panino com mortadella». Alla fine, la trattativa andò in porto. «Hahahahahaha ma che sei. Te l’ho detto.. però fai come dici tu. che ti devo dire a te...il capo sei tu» concludeva Suriano.
Per questo capo d’imputazione, che più di ogni altro fotografa bene la situazione criminale, il gip di Reggio Calabria ha ritenuto sussistente la gravità indiziaria sia nei confronti di Porcaro sia nei confronti di Suriano, essendo emerse «chiarissime comunicazioni nelle quali venivano stretti accordi per la cessione di un quantitativo ingente di cocaina, fissandone prezzo e tempi per la consegna».