Un reparto che non è allo stremo ma che lavora, lavora molto, con fatica e dedizione. Parliamo di quello di Medicina Covid del Giovanni Paolo II di Lamezia Terme diretto da Gerardo Mancuso. Qui approdano casi di gravità da moderata ad alta, che non richiedono, in sintesi, l’uso del casco per respirare.

Da giorni i venti posti letto che lo compongono sono al completo. La situazione epidemiologica sempre più grave, l’alta contagiosità di Omicron, ha fatto sì che su Lamezia stiano arrivando casi da tutta la Calabria, in particolare dalla provincia di Reggio e di Vibo Valentia.

La statistica

Tutti i ricoverati sono “non vaccinati”, ci spiega Mancuso, nel senso che o non hanno mai avuto il vaccino o hanno tardato la terza dose. In questo modo sono venuti meno gli anticorpi e ci si è resi vulnerabili al virus.«Se dovessi fare una statistica dei nostri ricoverati direi che il cento per cento dei pazienti gravi non sono vaccinati. Tra coloro che non sono gravi, il 75 per cento sono pazienti che comunque non hanno fatto la vaccinazione e quelli che hanno fatto la vaccinazione hanno ritardato la terza cose. E’ esattamente quello che accade adesso in tutto il mondo, cioè pazienti non vaccinati e pazienti che non hanno completato il ciclo vaccinale», afferma Gerardo Mancuso.

«Stiamo diventando punto di riferimento dell'intera regione – ammette ancora il direttore - anche perché i posti letto sono esigui e questo è dovuto anche alle scelte improprie fatte nel passato. Da noi arrivano molti pazienti di Reggio Calabria e Vibo».

«Abbiamo – aggiunge - un alto indice di contagio nella zona di Lamezia, ma una bassa prevalenza di malattia grave nella zona, mentre nei paesi a nord e mi riferisco a una parte del Reventino e a una parte dell'Alto Tirreno, abbiamo invece dei paesi da cui arrivano pazienti gravi, con polmonite e insufficienza respiratoria».

Il rapporto con il paziente

Gli chiediamo se si trovi mai a parlare con i pazienti della scelta di non vaccinarsi o se veda in loro un ravvedimento, il primario ci risponde che non lo ritiene opportuno nella fase del ricovero anche se il dialogo fa parte dell’agire del medico: «Il nostro dovere è anche far capire che il vaccino salva la vita e noi dobbiamo veicolare questo messaggio».

«Lavorare in un reparto Covid è molto difficile, non solo per un abbigliamento molto costrittivo e per i presidi di sicurezza impegnativi, da portare per molte ore. Ma lo è anche da un punto di vista psicologico. Non sempre si risponde subito alle terapie e diventa una pressione la riposta alla terapia. Esiste però – conclude Mancuso - uno spirito umano molto forte indipendentemente dal loro ruolo».