Finito nella maxi inchiesta che portò al sequestro di un carico monstre di 1,9 tonnellate di cocaina intercettate nel porto calabrese, Raffaele Imperiale ha svelato agli investigatori i suoi rapporti con gli uomini delle cosche
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La Colombia e gli Emirati Arabi, l’Italia e la Costa D’Avorio e in mezzo l’Olanda, il Marocco e le piazze di spaccio di mezza Europa. Più globalizzato della Coca Cola, il mercato del narcotraffico si muove (anche) su direttrici inaspettate, costruito su reti intricate tirate dai grandi broker al servizio del crimine organizzato capaci di mettere in piedi traffici di tonnellate di cocaina in arrivo dal centro e dal sud America e dirottati ovunque nel mondo, Australia compresa.
Un mondo nel quale un posto di riguardo se lo era ritagliato Raffaele Imperiale, quarantacinquenne di Castellamare di Stabia accusato dalle distrettuali antimafia di mezzo Paese, di essere uno dei trafficanti di cocaina più influenti sul mercato globale. Arrestato a Dubai dove si era rifugiato – come capita sempre più spesso ai pezzi grossi del narcotraffico – per gestire al meglio il flusso di denaro derivante dai movimenti di cocaina, ha cominciato a collaborare con la giustizia, iniziando a svelare il sistema che gli garantiva un’entrata fissa di 300mila euro al mese.
Ed è nei primi verbali depositati dalla Dda di Napoli nel processo che lo vede imputato di traffico internazionale di cocaina, che Imperiale ha fissato, nero su bianco, gli agganci con le famiglie della ‘ndrangheta calabrese. Finito nella maxi inchiesta che portò al sequestro di un carico monstre di 1,9 tonnellate di cocaina intercettate nello scalo di Gioia Tauro, Imperiale ha svelato agli investigatori i suoi rapporti con gli uomini del clan. A partire da quelli con Bartolo Bruzzaniti, conosciuto in Costa d’Avorio dopo un affare finito male con un altro cartello.
«Lo chiamavano Sonny – dice Imperiale agli inquirenti – ci ho fatto affari solo telematicamente. Affari per milioni di euro senza mai conoscerlo di persona. In due anni abbiamo fatto innumerevoli operazioni, per tonnellate di cocaina. Porti di partenza: Turbo in Colombia e Panama (Cristobal: circa il 70% delle operazioni), forse qualche partenza da Brasile e Ecuador magari con passaggio da Panama, tutti viaggi su Gioia Tauro».
Quello tra Bruzzaniti e Imperiale è un rapporto vecchio di anni, nato per caso in Africa. «Decidemmo di usare l’Africa come ponte dal Brasile – spiega Imperiale ai magistrati napoletani, riferendosi ad un cartello allestito con le famiglie napoletane – ma l’operazione non va a buon fine (furono sequestrati 1,2 tonnellate di cocaina nel porto di Santos). Qui entra in gioco Bartolo, che ha delle attività lì (credo dei ristoranti). Ha colto il momento giusto per entrare in contatto con me, perché lì in Africa un amico mi disse che aveva un amico calabrese che mi poteva aiutare per parlare con i detenuti. Dopo alcuni mesi mi chiese se potevamo aiutarlo a comprare droga in Olanda ma poi, saputi i costi, mi disse che erano troppo elevati, e quindi mi chiese di organizzare viaggi diretti dall’America su Gioia Tauro».
Bruzzaniti, spiega ancora Imperiale, operava direttamente su Milano «cosa che anche io stesso l’ho spinto a fare, anche perché a me interessava ormai soprattutto far girare il flusso di denaro, tanto che gliela cedevo quasi “al prezzo”».
“Sonny” non è l’unico tassello calabrese del mosaico costruito da Imperiale. Nel suo “portafoglio clienti” ci sarebbero infatti anche i Mammoliti. «Nel complesso – spiega ancora Imperiale – il gruppo Mammoliti ha comprato centinaia se non migliaia di chili di cocaina, erano acquirenti abituali. Ogni operazione era da 80/100 chili». Anche il rapporto che lega Imperiale a Mammoliti è datato nel tempo e fu lo stesso calabrese a riavvicinare il narcos a Bruno Carbone (diventato nel tempo il braccio destro dello stesso Imperiale). Conosco Rocco Mammoliti da vari anni e con lui ho lavorato molto. Dopo il suo arresto prende le redini il fratello Giuseppe con cui prendo contatti. Ho lavorato tantissimo con Giuseppe Mammoliti, fino agli anni quando da ultimo i rapporti si sono incrinati».
A creare la frattura tra Imperiale e il gruppo calabrese, il furto di un carico di 140 chili di droga. «A Roma Mammoliti fu derubato dai suoi ragazzi e in relazione a questo fatto c’è stato un omicidio, fatto passare per una questione d’amore. Mi disse “compà, ci hanno rubato” io dissi no: “vi hanno rubato”. Facemmo a metà (“abbiamo perso 70 noi e 70 voi”) e gli dissi di pagarmi i 70 chili ma ad oggi è stata pagata solo una parte, ad oggi mancano ancora 500mila euro».