Il collaboratore di giustizia, Francesco Noblea, condannato in Job Center, non ha voluto rispondere alle domande del pubblico ministero, rivelando anche la località riservata in cui si trova
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Doveva deporre oggi il collaboratore di giustizia, Francesco Noblea, condannato in via definitiva per il processo “Job Center” – l’indagine sul narcotraffico nel centro storico di Cosenza – nell’ambito del procedimento penale denominato “Testa di Serpente”, dove alla sbarra ci sono, tra gli altri, i fratelli Abbruzzese che, secondo la Dda di Catanzaro, gestirebbero un ingente traffico di armi e droga, avendo la sede operativa nel quartiere di via Popilia, ultimo lotto. Noblea, dopo l’avvio della seduta processuale, ha deciso di non rispondere alle domande del pubblico ministero, Corrado Cubbellotti, il quale ha preso atto della volontà del pentito, preannunciando prima della chiusura del collegamento che saranno assunti i provvedimenti del caso.
Noblea ha motivato il suo rifiuto, affermando che non si trovava nelle migliori condizioni psicologiche per sostenere l’esame e controesame, in quanto ci sarebbero problemi nel sito riservato in cui si trova. Il pentito ha anche rivelato, cosa non avrebbe dovuto fare, il carcere dove sta scontando il periodo di detenzione. Il presidente del collegio giudicante, Carmen Ciarcia (giudici a latere, Antico e Vigna) ha redarguito il collaboratore, interrompendo ogni ulteriore comunicazione.
L’udienza, in seguito, è filata via senza problemi. Il pm Cubbellotti ha sentito l’altro collaboratore di giustizia, Vincenzo De Rose, anche lui condannato in via definitiva per “Job Center”. Il pentito cosentino, una volta residente nel centro storico di Cosenza, ha parlato del tentato omicidio subito da Salvatore Muoio, spiegando di aver appreso queste circostanze da alcune persone, quali Marco Abbruzzese (alias “Lo Struzzo”), e Domenico Iaccino, che secondo quanto dichiarato da De Rose, avrebbe fatto “da palo” all’evento delittuoso.
Nel controesame, però, il collegio difensivo intervenuto, ha messo in evidenza le imprecisioni del testimone che ha inserito, erroneamente, Marco Abbruzzese sia nell’operazione “Nuova Famiglia”, quella riconducibile al gruppo “Rango-zingari”, sia in “Job Center”, dove il capo della presunta associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico era Celestino Abbruzzese, alias “Micetto”, fratello di Marco Abbruzzese. Prima, inoltre, aveva dichiarato di far parte del gruppo “Rango-zingari”, poi rispondendo alle domande dei penalisti, ha chiarito di non essere mai stato battezzato né di conoscere quali fossero i componenti del sodalizio mafioso.
De Rose, inoltre, su domanda del presidente Ciarcia, che ha inteso chiarire la questione riguardante le armi, ha detto che Marco Abbruzzese gli avrebbe dato la sua disponibilità a dargli una pistola, ma non sapeva dove la famiglia in questione nascondesse l’arsenale che, per l’accusa, era stato occultato in un intercapedine in via Popilia, reso invisibile dalla presenza fissa di un camion. Infine, ha specificato che Franco Abbruzzese, detto “A Brezza”, lo conosce come cantante e fratello di Luigi, Marco e Nicola Abbruzzese. Da segnalare che nel corso dei quesiti posti dalle difese, De Rose ha negato di aver avuto contatti esterni nel periodo collaborativo. Se avrà detto la verità o meno, lo scopriremo nelle prossime udienze. Il processo è stato aggiornato al mese di novembre prossimo. In questa data saranno ascoltati i collaboratori di giustizia, Anna Palmieri e Giuseppe Zaffonte.