Marco, Luigi e Nicola, relativamente alle condotte illecite avute contro Antonio Tenuta, hanno reso dichiarazioni spontanee in aula. Ecco cosa hanno detto
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Nell’ultima udienza del processo “Testa di Serpente”, Marco, Luigi e Nicola Abbruzzese, in relazione all’aggressione contro il testimone di giustizia Antonio Tenuta, hanno ammesso le loro responsabilità, precisando le loro condotte. La circostanza è avvenuta al termine delle tre escussioni programmate per la seduta processuale del 15 giugno 2022, relativamente all’estorsione del terreno situato in via Romualdo Montagna, zona periferica di Cosenza.
Il colpo di scena, tuttavia, ha catalizzato l’attenzione processuale, in quanto i fratelli Abbruzzese sono indicati quale gruppo criminale operante nel territorio di Cosenza, soprattutto nello spaccio di droga. Le loro dichiarazioni spontanee sono state ascoltate dal collegio giudicante (presidente Carmen Ciarcia; giudici a latere Stefania Antico e Iole Vigna).
Il primo a parlare è stato Marco Abbruzzese: «Riguardo al fatto di Antonio Tenuta, mi assumo tutte le mie responsabilità, ma tengo a precisare che ho prestato 15mila euro a mio fratello Celestino, perché lui doveva entrare in società con il signor Tenuta, ma una volta che lo hanno arrestato non ho avuto più modo di recuperare la cifra. È vero che ho sbagliato nella condotta, ma è giusto dire che mi ero rivolto ad Adamo Attento, affinché mi rintracciasse Tenuta, ma specifico che Attento non ha fatto nulla. È stato poi Tenuta a dire che mi avrebbe mandato i soldi con Attento».
A ruota poi il fratello Luigi. «Mio fratello Marco aveva prestato dei soldi a Celestino per farlo entrare nell’azienda di Tenuta. I 15mila euro erano utili a far brevettare le persone che dovevano lavorare nei supermercati. Loro sarebbero entrati al 50 per cento, ma con soldi in nero».
E ancora: «Il giorno in cui è stato picchiato Tenuta, eravamo sotto casa mia a festeggiare il compleanno di mia sorella Rosaria. Così, vedo che si avvicina una macchina e dalla stessa scendono Antonio Tenuta e Adamo Attento. Mio fratello Marco era nervoso e gli sono andato dietro, ascoltando che lui chiedeva spiegazioni a Tenuta sui soldi che aveva prestato a mio fratello e che voleva restituiti. A questo punto ho detto al signor Tenuta che sapevo per certo che lui mandava ancora soldi a Claudio, che nel frattempo era diventato collaboratore di giustizia. Gli abbiamo detto più volte, essendo chiari sul punto, che non volevamo soldi a mo’ dì estorsione e usura, ma volevamo recuperare i soldi che Marco aveva dato a Celestino. Ma Tenuta ha risposto dicendo che non doveva dare soldi a mio fratello, dal quale aveva ricevuto 6/7mila euro. Ma a noi questa cosa non interessava, perché ribadisco, signor presidente, che Marco voleva solo i suoi soldi. Gli avevamo proposto di darci 300 euro rispetto alle mille euro che prendevano sia Celestino che Anna Palmieri, dal signor Tenuta. Poi mio fratello Marco ha dato uno schiaffo a Tenuta, e mentre lo allontanavo, Nicola gliene ha dato un altro».
Luigi Abbruzzese ha concluso la sua dichiarazione, chiarendo di non aver mai minacciato nessuno dei familiari di Tenuta, compresi i suoi figli. La circostanza dello schiaffo è stata confermata anche da Nicola Abbruzzese, il quale ha precisato «di non sapere di cosa stessero parlando e di non aver mai più visto dopo Tenuta».
Altre dichiarazioni spontanee sono state rilasciate prima degli Abbruzzese, dall’imputato Francesco Casella: «Non capisco perché ad oggi sono ancora detenuto», si è limitato a dire.
Precedentemente il pubblico ministero Corrado Cubellotti aveva esaminato la mamma, la moglie e la sorella del venditore ambulante, escusso nell’udienza scorsa. La mamma ha ripercorso la vicenda, parlando del fatto che era nata una contesa per il terreno di via Romualdo Montagna, in quel momento occupato abusivamente da Massimo De Rose, per il quale avrebbe fatto pressioni Domenico “Duccio” Celebre. Due persone che saranno sentite nelle prossime sedute processuali. La signora inoltre non ha riconosciuto Antonio Marotta, quale soggetto che avrebbe minacciato il figlio di lasciare il terreno, perché interessava ad altre persone, poi acquistato dalla mamma per una cifra che si aggira intorno ai 30mila euro, d’intesa con il legale a cui si era affidata la famiglia del venditore ambulante.
Marotta, detto “Capiceddra”, riconosciuto poi dalla moglie della persona offesa come l’uomo che si recò alla fiera di San Giuseppe, per dire al marito che dovevano abbandonare lo stabile – dove venivano conservati alcuni materiali – ma che lo stesso Marotta in sua presenza non avrebbe minacciato il compagno di una vita. Sia la mamma, la moglie che la sorella, avevano visto il loro stretto congiunto con diversi lividi al viso. Nessuna minaccia infine sarebbe stata proferita da Casella alla persona offesa, che a dire dei testimoni conosceva da una vita la vittima, avendolo «cresciuto» sin da piccolo.
Nel collegio difensivo figurano gli avvocati Antonio Quintieri, Paolo Sammarco, Matteo Cristiani, Paolo Pisani, Giorgia Greco, Cesare Badolato, Cristian Bilotta, Filippo Cinnante, Cristian Cristiano, Fiorella Bozzarello e Mariarosa Bugliari.