Sono accuse molto gravi quelle avanzate dal gruppo Fem.in – Cosentine in lotta nei confronti degli operatori della locale questura.

Le accuse sui social

In un post sui social, sottolineato da una fotografia scattata nel corso della notte scorsa, proprio davanti il presidio delle forze dell’ordine di via Palatucci, le attiviste accusano gli agenti di una gestione opaca dello sportello antiviolenza, di violazione della privacy delle donne che si rivolgono alla polizia per essere tutelate, di umiliazioni condotte ai danni delle donne straniere nell’ufficio immigrazione.

La panchina della ipocrisia

Critiche vengono sollevate anche rispetto alla recente inaugurazione di una panchina rossa, allestita proprio dalla Questura di Cosenza, simbolo della lotta alla violenza di genere. Una iniziativa definita dal collettivo «squallida e becera. Un vano tentativo – si legge testualmente - di lavarsi la coscienza dal sangue di migliaia di donne ammazzate, picchiate e violentate che potevano essere salvate se solo le istituzioni si comportassero da tali. Del resto, se le panchine potessero parlare, specie quelle rosse contro la violenza sulle donne, vi racconterebbero – si legge ancora sul post diffuso attraverso i social - atroci verità e vi svelerebbero il volto ambiguo di chi con tanto baldanzoso sforzo si affanna a commissionarle e inaugurarle in pompa magna».

L'affondo alle istituzioni

«Siccome, purtroppo, le panchine non parlano, allora ve le cantiamo noi quattro; a chi dice Venite e fidatevi di noi rispondiamo a gran voce: voi chi? Quelli che da anni ignorano i centri e le reti territoriali antiviolenza in favore di strutture amiche che ben poco hanno a che vedere con le case rifugio di cui necessitano le donne vittime di violenza? Quelli che hanno istituito uno sportello antiviolenza dentro la questura, senza rendere noto da chi sia gestito, se e come chi ci lavora sia stato formato, ma soprattutto violando i principi cardine della privacy e della tutela della vittima, senza tenere in conto la volontà e la consapevolezza della stessa? Quelli che negli uffici per l’immigrazione vessano, deridono e umiliano le nostre sorelle e che, anche in questo caso, ignorano le reti esistenti sul territorio? Quelli che dichiarano durante eventi pubblici che la maggior parte delle violenze denunciate dalle donne sono false? Quelli che sgomberano donne e bambini indigenti? Quelli che da oltre 10 anni ignorano le segnalazioni, corredate di targa, dei molestatori che si aggirano in università? Quelli che rispondono alle donne che subiscono violenza non ci possiamo fare niente, cumprati nu bazooka, o stai attenta e non uscire da sola».

Forti con i deboli

«Gli stessi - aggiungono le attiviste - che invece agiscono celermente quando si tratta di intimarci, non proprio carinamente, di rimuovere un banalissimo striscione contro le discriminazioni per identità di genere e orientamento sessuale, adducendo come motivazione che di fronte le sedi istituzionali, come la prefettura, non si può affiggere niente? Quelli che per agire aspettano che le donne denuncino tre o quattro o milioni di volte, sempre se ne hanno il tempo prima di venire ammazzate? Quelli che da anni denunciano e arrestano attivisti per i diritti umani? Quelli che speculano sui nostri corpi per giustificare le proprie manie securitarie, razziste e classiste, e peggiorare la nostra condizione?»

Nessuna fiducia

«Ci perdonino queste persone per bene ma non ci adattiamo alle loro scene, anzi scenate: della questora, della prefetta, del procuratore, della procuratrice aggiunta, delle istituzioni che rappresentano e di tutto il carrozzone non ci fideremmo neanche se fossero le ultime persone sulla faccia della terra, e non ci rassicura il fatto che la maggior parte di queste siano donne, perché conosciamo bene il loro operato - concludono - Abbiamo visto le nostre sorelle picchiate, vessate e ostacolate, siamo state spesso vittime della vostra violenza e della vostra colpevole inefficacia».