In copione è sempre il medesimo: la droga arriva (e, nel caso della marijuana, si produce anche) in Calabria e poi da qui raggiunge le piazze di spaccio di mezzo Paese, servendosi della fitta rete di affiliati al crimine organizzato che da tempo ha colonizzato anche le altre regioni d'Italia. Ieri è stato il turno di Imperia dove, la distrettuale antimafia di Genova, ha arrestato 26 persone accusate a vario titolo di gestire il mercato dello spaccio in parte della Liguria, gravitando nell’orbita della famiglia Gioffrè-De Marte. Originari di Seminara, nel Reggino, ma da anni trapiantati a Diano Marina in provincia di Imperia, gli indagati avevano iniziato a fare i soldi veri durante la pandemia dovuta al Covid.

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Affari d'oro in pandemia

Un periodo d’oro per gli affari quello del Covid, con gli italiani barricati dentro casa e il mercato della droga che segnava picchi di richieste in continuo rialzo. «Ragazzi, nel Covid eravamo i numeri uno qui in Liguria» dice uno degli indagati intercettato dagli investigatori della guardia di finanza riferendosi, annota il gip nelle carte dell’indagine, «alla difficoltà di contare il denaro» durante i lunghi mesi del lockdown.

Un giro d’affari importante tirato su grazie ad un’organizzazione che era capace, dicono gli inquirenti, di movimentare fino a 15 chili di cocaina al mese che arrivava dalla Calabria con corrieri che si servivano di auto affittate per l’occasione e che non disdegnavano, nei periodi di magra, di accontentarsi di un posto su un autobus sulla tratta che collega la nostra regione alla Liguria. Era la casa di Gioffrè la base dell’organizzazione. Era lì, nel fortino del clan, dove il presunto capo era ristretto ai domiciliari, che si organizzavano gli affari e si fissavano le strategie per la vendita al dettaglio della droga che gli indagati erano in grado di riversare sul mercato della riviera di ponente, in Liguria. 

La droga sull’autobus

È Scarcella l’uomo deputato a rifornire l’associazione di cocaina dalla Calabria. Badando bene di utilizzare solo criptofonini di ultima generazione – più difficili da hackerare per gli inquirenti – i membri del presunto sodalizio criminale avevano consolidato un modus operandi semplice e redditizio. «I vertici, e in particolare il Gioffrè, concordavano gli approvvigionamenti della cocaina dalla Calabria e dei criptofonini di volta in volta necessari – scrive il gip – organizzando trasferte in Calabria prima e a Roma poi, per la cessione della cocaina o per la sola consegna del denaro (corrispettivo dello stupefacente, che veniva poi spedito), si accordano, in alternativa per ricevere lo stupefacente direttamente dalla linea bus (il fornitore carica colli diretti all’associazione, che vengono prelevati ad Imperia da altri associati sodali)».

Le violenze

L’associazione, ipotizzano i magistrati della distrettuale antimafia genovese, si serviva, oltre che dei suoi sodali abitudinari, anche di piccoli underdog utilizzati come venditori al dettaglio dopo un periodo da “semplici” consumatori. Pedine che acquistavano la droga a credito dal clan per poi riversarla sul mercato. E se qualcuno restava indietro con i pagamenti, il sistema per rientrare dell’investimento era semplice e feroce. Come nel caso di un cliente moroso «che veniva prelevato da casa da tre persone, pestato a sangue, portato in via Codeville, dove Gioffrè si trovava ai domiciliari, e qui ancora picchiato e poi costretto a intestare la propria moto ad una persona indicata da Gioffrè per saldare i propri debiti».