La deputata fa riferimento alla decisione della Corte d'Appello di Catanzaro che manda ai domiciliari Vincenzino Iannazzo: «Il rischio è che possa ridare impulso a un'organizzazione criminale»
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«Il coronavirus non può diventare il pretesto per allargare le maglie della detenzione carceraria, soprattutto se a trarne beneficio sono potenti boss come Vincenzino Iannazzo, ritenuto capo della omonima cosca di Lamezia Terme».
È quanto afferma il segretario della Commissione parlamentare antimafia Wanda Ferro (FdI), dopo la notizia della scarcerazione di Iannazzo, decisa dalla Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro, nonostante l’opposizione del procuratore generale, dopo che gli avvocati hanno sostenuto l’incompatibilità delle sue condizioni di salute con il rischio di contagio all’interno del carcere.
«Pur nel rispetto delle decisioni dei giudici, ritengo che non si possa lasciare tornare a casa un boss mafioso, consentendogli di facilmente avere contatti con l’esterno e tenere le fila dell’organizzazione. Dopo una condanna a 14 anni e mezzo di carcere, ritengo insufficiente la detenzione domiciliare, seppur con l’applicazione del braccialetto elettronico: il rischio non è tanto quello della fuga del detenuto, ma quello di ridare impulso ad una organizzazione criminale potentissima e pericolosa, al cui contrasto negli anni hanno lavorato con impegno le forze dell’ordine e la magistratura. Si dovrebbero piuttosto predisporre in carcere tutte le misure mediche e sanitarie per garantire la salvaguardia dello stato di salute del detenuto che presenta un deficit immunitario».
«Noi di Fratelli d’Italia - ha proseguito Wanda Ferro - con la nostra presidente Giorgia Meloni, ci siamo opposti con forza all’introduzione dell’articolo 123 nel decreto legge 18, una vera e propria norma “svuota carceri” che dimostra l’incapacità e l’approssimazione del governo che, non riuscendo a garantire adeguate condizioni sanitarie negli istituti di pena, preferisce mandare a casa i delinquenti, vanificando il lavoro di chi ha lavorato e rischiato per assicurarli alla giustizia, e mettendo a rischio la sicurezza dei cittadini.
Se pure è comprensibile incentivare la decisione di misure alternative idonee ad alleggerire la pressione delle presenze non necessarie in carcere - come rimarcato in un documento di indirizzo della Procura Generale della Cassazione - non si può consentire che ciò riguardi i delitti ricompresi nel perimetro presuntivo di pericolosità sociale, come appunto i reati di mafia, non solo per quanto riguarda l’esecuzione delle pene detentive, ma anche per l’adozione di misure cautelari. Poiché ai fini della valutazione sull'incompatibilità tra il regime detentivo e le condizioni di salute del condannato rileva anche la capacità dell’istituto di pena di assicurare mediante i propri presidi la necessaria assistenza al detenuto, il governo deve garantire l’adeguamento delle strutture all’emergenza in corso, non liberarsi del problema con un pericolosissimo “tutti a casa!”».