Si sono insediati a palazzo Sant’Anna, sede del Comune di Tropea, i commissari Salvatore Fortuna (viceprefetto), Giuseppe Di Martino (viceprefetto aggiunto) ed Emilio Buda. Si tratta di un ritorno, atteso che sono rimasti in carica dall’agosto del 2016 al giugno scorso quando il Tar del Lazio ha accolto il ricorso degli ex amministratori di Tropea i cui organi elettivi erano stati sciolti dal Consiglio dei ministri, su proposta del Ministero dell’interno, per infiltrazioni mafiose. Il Consiglio di Stato il 21 settembre scorso ha accolto la richiesta di sospensiva del verdetto del Tar, ritenendo errato il ragionamento logico-giuridico seguito dai giudici amministrativi di primo grado.

 

“Danno grave”

In particolare, i giudici amministrativi di secondo grado hanno ritenuto che il mantenimento nelle proprie funzioni di sindaco, giunta e Consiglio comunale di Tropea (in attesa della trattazione nel merito del ricorso fissato per dicembre) avrebbe determinato per il Ministero dell’Interno e la Prefettura di Vibo Valentia un “danno grave ed irreparabile, poiché ogni proseguimento dell’attività di governo della città da parte di una amministrazione locale disciolta sulla base di elementi valutati in sede cautelare ben articolati e motivati - ha messo nero su bianco il Consiglio di Stato - comporterebbe un pregiudizio al bene comune della trasparenza, dell’imparzialità e del buon andamento, a presidio del quale la Presidenza della Repubblica e il Governo devono porsi in ogni sede”.

 

Sempre il Consiglio di Stato ha ricordato inoltre che “lo scioglimento non ha natura sanzionatoria, ma preventiva, il che rende sufficienti alcuni elementi indizianti che permettano di individuare, nel contesto locale, il tessuto di connessioni e collegamenti tra atti e fatti, da cui scaturisce il ragionevole convincimento della contaminazione mafiosa in danno all’amministrazione pubblica”.

 

“Conclamata irregolarità amministrativa”

I giudici hanno poi ricordato che “la conclamata irregolarità amministrativa, sintomo e talora prova della colpevole trascuratezza nella difesa dell’interesse pubblico, quasi come un vero e proprio abbandono della funzione amministrativa, sia oggettivo elemento che, in un contesto territoriale ove operano i sodalizi mafiosi, rende più facilmente permeabile a questi ultimi l’amministrazione della cosa pubblica, e la mancata attivazione di misure per il ripristino della legalità costituisce - a parte la responsabilità dei funzionari - elemento costitutivo della responsabilità “istituzionale” degli organi politici dell’ente locale, rilevante ai fini dello scioglimento per infiltrazioni mafiose”.

 

Le reazioni della politica alla sentenza del Tar

Erano stati in tanti all’indomani della sentenza del Tar a salutare con soddisfazione il ripristino dell’amministrazione guidata dal sindaco Giuseppe Rodolico. Proprio l’ex sindaco aveva dichiarato nel giugno scorso che la sentenza del Tar Lazio restituiva “dignità alla città”. Anche l’Associazione albergatori Tropea (Asalt), Unindustria Calabria sezione Turismo Vibo, Federalberghi Vibo Valentia e Asscomm Tropea si erano affrettate a salutare positivamente la sentenza del Tar spiegando che “una delle stagioni più buie della lunga storia di Tropea è stata illuminata dalla bellissima sentenza del Tar del Lazio che ha cancellato l’infame etichetta che era stata incautamente affibbiata alla nostra splendida cittadina”.

 

L’ex assessore Maria Stella Vinci (Pd) a giugno sosteneva invece che “alla luce di quanto avvenuto, e tenuto conto della particolare situazione in cui versa Tropea, vi è la necessità di lavorare all’unisono e mettere in campo una stagione di buon governo”.

 

Giovanni Macrì, consigliere comunale di minoranza e capogruppo di “Forza Tropea” (e già candidato a sindaco sconfitto da Rodolico), nel giugno scorso aveva invece giudicato positivamente il ritorno nell’esecutivo del già vicesindaco Domenico Tropeano, “garanzia sul fronte del decoro urbano”, spiegando poi che vi era la necessità di avere “un’amministrazione nel pieno esercizio delle proprie funzioni”. All’atto dello scioglimento degli organi elettivi dell’ente, Giovanni Macrì aveva parlato di “scioglimento figlio di una norma dal sapore inquisitorio e dai confini molto labili”.

 

Le responsabilità della politica a Tropea

Appresa la notizia della sospensiva del Consiglio di Stato, al momento nessuna dichiarazione è giunta dal sindaco Giuseppe Rodolico. Più loquace, invece, l’ex assessore Domenico Tropeano, secondo il quale a Tropea si vive “in un territorio dove tutti si conoscono e dove tutti sappiamo chi delinque. Questo accanimento dello Stato - ha dichiarato Tropeano - su altri organi di Stato non mi piace”. L’ex assessore alla Cultura, Sandro D’Agostino ha altresì dichiarato di aspettarsi che qualcuno rispetto alla tutela della legalità “si esponga e tragga le somme su quanto fatto in dieci mesi dalla gestione commissariale e quanto messo in campo da noi in tre mesi”. Il consigliere comunale di minoranza Peppino Romano (altro candidato a sindaco sconfitto da Rodolico) ha infine sostenuto che “quanto accaduto sia una cosa troppo brutta per la città. Se Rodolico avesse accolto le nostre iniziali richieste di dimissioni tutto questo non sarebbe accaduto”.

 

Nessuna “infame etichetta” per Tropea

Cosa insegna, dunque, la “vicenda Tropea”? Dalle dichiarazioni dei politici locali ed anche da quelle delle varie associazioni di albergatori e Unindustria Calabria emerge un’estrema confusione (voluta o meno poco importa) fra parificazione dell’intera città (con la sua storia e la sua cultura) e vicende che attengono strettamente al solo Comune di Tropea, inteso come ente locale. Sciogliere gli organi elettivi di un ente locale per infiltrazioni mafiose non significa infatti attribuire affatto un’etichetta di mafiosità ad un’intera comunità e, del resto, mai Prefettura e Ministero dell’Interno e gli stessi organi della giustizia amministrativa (Tar e Consiglio di Stato) si sono sognati di far ciò. Parlare quindi di “infami etichette attribuite alla città di Tropea” rappresenta solo un modo fuorviante per non affrontare il reale problema, quello cioè di una ’ndrangheta che a Tropea esiste dagli anni ’70, fa affari anche grazie alla politica e la cui forza viene ben spiegata dalle sentenze di condanna definitive contro il clan La Rosa. Che un’amministrazione comunale venga sciolta per infiltrazioni mafiose (e lo sarebbe stato anche se, contrariamente a quanto sostenuto da Peppino Romano, il sindaco Rodolico si fosse dimesso) non significa quindi minare il turismo o appannare l’immagine di una cittadina che vive di luce propria grazie alle bellezze naturali e che non si identifica di certo all’esterno e nel mondo con i suoi organi politici elettivi (Consiglio comunale, sindaco e giunta).

 

Resta altresì in tale vicenda tutta l’ipocrisia di una classe politica locale che nel luglio del 2016 – probabilmente sentendo il "fiato sul collo" di un possibile scioglimento per infiltrazioni mafiose - non ha trovato di meglio che bocciare trasversalmente in Consiglio comunale l’assestamento di bilancio, ponendo di fatto fine all’esperienza amministrativa ed ignorando che neppure tale “mossa” avrebbe potuto fermare la procedura di scioglimento in base alla legge antimafia. Restano le dichiarazioni di "fuoco" dei vari consiglieri comunali – l’un contro l’altro “armati” – all’atto della bocciatura del bilancio nel luglio del 2016. Un anno dopo, rimesso in pista dalla sentenza del Tar il disciolto Consiglio comunale, ecco sparire di coilpo anche la crisi politica che un anno prima (ed una settimana prima dello scioglimento per infiltrazioni mafiose) aveva portato alla bocciatura del bilancio. Come nulla fosse, la maggioranza si è ricompattata all’indomani della sentenza del Tar Lazio (giugno scorso) che annullava lo scioglimento degli organi elettivi dell’ente.

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Riaperte le porte ai commissari

Quindi la recentissima decisione del Consiglio di Stato che, riaprendo le porte ai commissari, fa riprendere anche la procedura di incandidabilità per Giuseppe Rodolico ed Antonio Bretti chiesta dal Ministero dell’Interno al Tribunale civile di Vibo Valentia. Dalla relazione della commissione d’indagine prefettizia agli atti sul Comune di Tropea, firmata dal viceprefetto vicario della Prefettura di Vibo Lucia Iannuzzi, dall’allora comandante dei carabinieri della Compagnia di Tropea Francesco Manzone e dal capitano della Guardia di finanza, Giovanni Torino, non vengono del resto risparmiati neanche alcuni consiglieri comunali (ormai ex) di minoranza (espressamente citati da pagina 35 a pagina 45), segno evidente di una politica locale che – al netto di errori e forzature da parte della Commissione di accesso agli atti, che pur ci sono state – andrebbe rifondata quasi interamente sin dalla radice.