La terza sezione del Consiglio di Stato ha sospeso l’esecutività della sentenza con la quale il Tar del Lazio aveva annullato il decreto di scioglimento degli organi elettivi del Comune di Tropea per infiltrazioni mafiose deciso il 12 agosto 2016 con apposito decreto presidenziale sulla scorta di una relazione redatta dalla Commissione di accesso agli atti (composta dal viceprefetto Lucia Iannuzzi, dall'allora comandante della Compagnia dei carabinieri di Tropea Francesco Manzone e dal capitano della Guardia di finanza Giovanni Torino), dalla Prefettura di Vibo Valentia e dal Ministero dell’Interno. 

 

I giudici amministrativi di secondo grado hanno infatti accolto l’appello cautelare del Ministero dell’Interno e della Prefettura di Vibo ripristinando la terna commissariale antimafia al posto degli organi elettivi. Ciò vuol dire che il sindaco di Tropea, Giuseppe Rodolico, e tutta la sua Giunta – oltre che all’intero Consiglio comunale, sono cessati dalle loro funzioni e l’ente ritorna il mano ai commissari antimafia. Il tutto sino alla trattazione di merito del ricorso del Ministero dell’Interno e della Prefettura avverso la sentenza del Tar Lazio. Ma le speranze che nel merito il Consiglio di Stato decida di ripristinare gli organi elettivi del Comune di Tropea, e confermare la sentenza del Tar Lazio che annullava il decreto di scioglimento degli organi elettivi dell’ente, sono ridotte al lumicino. Per non dire quasi nulle. Questo perché le motivazioni con le quali il Consiglio di Stato ha accolto l’appello cautelare del Viminale e della Prefettura di Vibo sono quanto mai significative e dure: il Tar Lazio ha sbagliato nella valutazione di quasi tutti gli elementi a sostegno dello scioglimento. Ecco perché.

 

I motivi dell’ordinanza del Consiglio di Stato. I giudici amministrativi spiegano che la decisione viene presa “a difesa della cittadinanza di Tropea ripristinando la legalità in tutti i settori”. Far restarein piedi l’amministrazione Rodolico ed il Consiglio comunale attuale, per il Consiglio di Stato – pur in attesa della trattazione del merito del ricorso – costituirebbe danno “grave ed irreparabile, poiché ogni proseguimento dell’attività di governo della città da parte di una amministrazione locale disciolta sulla base di elementi valutati in questa sede cautelare ben articolati e motivati, determinerebbe un pregiudizio al bene comune della trasparenza, imparzialità e buon andamento, a presidio del quale la Presidenza della Repubblica e il Governo devono porsi in ogni sede”.