I finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Vibo Valentia, coordinati dal procuratore della Repubblica di Catanzaro, Nicola Gratteri, dal procuratore aggiunto, Vincenzo Capomolla e dai sostituti procuratori, Antonio De Bernardo e Pasquale Mandolfino, hanno eseguito, nella mattinata odierna, un provvedimento di sequestro di beni, per un valore complessivo di circa 20milioni di euro, emesso dal Tribunale di Catanzaro - Seconda sezione penale.

Colpiti i beni dei Mancuso

Il Tribunale ha accolto quasi integralmente l’articolata proposta di applicazione della misura di prevenzione patrimoniale della confisca nei confronti di Giovanni Mancuso, 78 anni, nato a Limbadi (Vibo Valentia), noto esponente di spicco dell’omonima cosca di ‘ndrangheta, presentata dalla Direzione distrettuale antimafia, al termine di complessi accertamenti patrimoniali esperiti dalla Guardia di Finanza.

Mancuso è stato ritenuto un soggetto di pericolosità sociale qualificata, avendo il Tribunale di Vibo Valentia - Sezione Misure di Prevenzione, con decreto del 18 dicembre 2014, applicato a suo carico la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per la durata di anni cinque.

 

Il profilo di Giovanni Mancuso

Il percorso delinquenziale di Giovanni Mancuso, detto “Billy”, affonda le radici in un lontano passato, come emerge dalle condanne, sin dai primi anni ‘60, per reati contro il patrimonio, in materia di falso, porto abusivo di armi, pascolo abusivo, violenza per costringere altri a commettere un reato, oltraggio a pubblico ufficiale, violazioni alla normativa urbanistica ed edilizia e, soprattutto, per un fatto commesso nell’anno 1975, per sequestro di persona a scopo di estorsione; condanne che lo hanno costretto a prolungati periodi di detenzione.

La misura di prevenzione patrimoniale applicata ha preso in considerazione, sotto il profilo della pericolosità sociale, i fatti che hanno riguardato il Mancuso relativi al periodo temporale decorrente dall’anno 2004 e, in particolare, quelli che hanno formato oggetto del procedimento penale concluso, il 27 marzo 2013, con l’operazione antimafia “Black Money “, contro il clan Mancuso, coordinata dalla stessa Dda.

 

Le indagini

Gli accertamenti patrimoniali successivamente svolti dalla Guardia di Finanza, delegati dalla Dda, hanno permesso di ricostruire il vasto patrimonio posseduto da Giovanni Mancuso, individuando numerosi beni, formalmente intestati a lui, alla moglie, ai figli, ai loro congiunti e ad un soggetto estraneo alla famiglia, evidenziando una palese sproporzione, ingiustificata, tra il loro valore ed i redditi dichiarati dagli acquirenti.

Tale sproporzione è stata ritenuta espressiva dell’utilizzo di proventi illeciti derivanti dalle attività criminali perpetrate da Giovanni Mancuso.

Il sequestro

Complessivamente, sono stati individuati e sequestrati, in vista della loro confisca, i seguenti beni:

 92 terreni, ubicati nei comuni di Limbadi, Nicotera, Rombiolo, Zungri, Drapia e Filandari, della provincia di Vibo Valentia;  16 fabbricati, di cui 2 capannoni industriali, ubicati nei comuni di Limbadi e Filandari, della provincia di Vibo Valentia e Milano (in un caso); 9 autoveicoli e 1 trattore agricolo; 2 aziende agricole, con sede in Limbadi; 2 ditte individuali, delle quali una esercente l’attività di stazione di servizio, con sede in Filandari. La loro individuazione è stata possibile solo al termine di una complessa attività di analisi di informazioni reperite dalle numerose banche dati in uso alla Guardia di Finanza, messe a raffronto con le risultanze delle indagini di polizia giudiziaria condotte anche sul territorio, dimostrando la riconducibilità di essi al proposto.

L’acquisizione dei beni rinvenibili nel patrimonio sottoposto a sequestro riflette una procedura che soltanto in apparenza rispetta i canoni della legalità e trasparenza, ma che a ben vedere nasconde i meccanismi perversi del metodo mafioso, che inquina il regolare svolgimento delle attività economiche e del libero mercato ed il diritto di proprietà.

 

Terreni acquisiti con la  “forza”

Molti di tali beni sono stati infatti acquisiti con modalità indicative tipiche dell’agire illecito del Mancuso (ovvero per usucapione o, talvolta, quale verosimile corrispettivo di attività di carattere usuraio), approfittando dello stato di bisogno dei legittimi proprietari e sfruttando la forza del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento alla famiglia Mancuso.

L’acquisto dei terreni per usucapione è un’altra modalità assai frequente in cui si manifesta il potere intimidatorio dei Mancuso, che sfruttando l’egemonia sul proprio territorio, occupano abusivamente i terreni, esercitandovi a titolo gratuito attività agricola, assicurandosi la percezione di contributi pubblici erogati dall’Arcea ed acquistandoli successivamente con il decorso del tempo, sfruttando l’inerzia dei legittimi proprietari, che si guardano bene dall’intentare cause civilistiche, per il timore di subire minacce e ritorsioni.

I beni trasferiti ai familiari

L’attività investigativa ha consentito di accertare che il modus operandi della famiglia Mancuso è talmente raffinato che, per tentare di eludere le misure di carattere patrimoniale previste dalla normativa antimafia, che richiedono la sperequazione tra il patrimonio posseduto e i redditi dichiarati e le attività economiche esercitate, ricorre all’acquisizione di beni a costo zero, tale da non potere essere considerato ai fini dell’applicazione della misura, che in seguito trasferisce a soggetti appartenenti ad altri familiari, in modo da rendere più complessa e onerosa l’attività investigativa, poiché l’illecita provenienza viene edulcorata dal passare del tempo e mascherata da atti giuridici apparentemente leciti e garantiti persino da notai.