Resta in carcere l'uomo accusato di omicidio volontario. Per il Giudice per le indagini preliminari l'intenzione dei malviventi sarebbe stata quella di lasciare l'abitazione. Il proprietario di casa si difende: «Mi hanno aggredito, volevo solo salvarmi»
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Resta in carcere Francesco Putortì, il macellaio che lunedì mattina ha ferito mortalmente a coltellate Alfio Stancampiano, un topo di appartamento che si era introdotto nella sua abitazione (l’uomo è poi spirato sul piazzale dell’ospedale Morelli dove era stato abbandonato dai complici), e ne ha ferito gravemente un altro, Giovanni Bruno, poi ricoverato in gravi condizioni al Policlinico di Messina.
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Il Gip del tribunale di Reggio Giovanna Sergi ha infatti convalidato il fermo di Putortì, stabilendo la custodia cautelare in carcere con l’accusa di omicidio volontario come richiesto dal Pm Nunzio De Salvo. «La circostanza che Putortì non abbia riportato alcuna lesione – scrive il Gip nell’ordinanza – il numero di colpi inferti ai due malcapitati in parti vitali e, quanto al Bruno, alla schiena, il fatto che i due non avessero brandito armi contro l’indagato, la stessa ricostruzione dei fatti fornita da quest’ultimo allorquando descriveva l’allontanamento immediato dei ladri da casa non appena si era aperta loro la via di fuga per le scale, lasciano ritenere come l’intento manifesto dei malviventi, allertati dalla presenza in casa del proprietario, fosse proprio quello di darsi alla fuga immediata da quei luoghi e non quello di nuocere alla sua incolumità. Prova ne è che non si servivano delle armi che avevano trafugato da poco per aggredirlo».
Gli investigatori, incrociando le testimonianze dello stesso indagato, quelle dei suoi vicini di casa e quelle del ladro ferito ricoverato a Messina, hanno ricostruito le dinamiche di questa vicenda tremenda. Nella villetta di Putortì a Rosario Valanidi, periferia sud di Reggio, non c’è nessuno quella mattina. L’indagato è in palestra, la moglie dal dentista e il figlio a scuola.
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I ladri, il cui percorso è stato ricostruito grazie alle telecamere dei sistemi di sorveglianza della zona, entrano in casa indisturbati e vanno a colpo sicuro. Prima una cassaforte da cui arraffano una manciata di spiccioli e qualche gioiello, poi l’altra dove sono custodite due pistole regolarmente detenute. I ladri sono ancora al secondo piano quando Putortì fa rientro nella sua abitazione. L’uomo si accorge subito della presenza degli estranei e, impugnato un coltello dalla cucina, li raggiunge senza essere visto. «Ho visto passare una persona e mi sono preso di panico e ho afferrato un coltello dalla cucina salendo sopra – ha raccontato Putortì agli investigatori – Quando ho fatto l’ultimo gradino i due soggetti che erano dentro mi hanno aggredito ed io mi sono difeso. Mentre scappavano ai soggetti sono cadute due pistole. Mi sono difeso con un coltello, loro mi hanno aggredito subito, non ricordo cosa ho fatto, ho cercato di salvarmi, li ho inseguiti fino alla mia macchina e poi sono tornato dentro. Ho preso il coltello per eventuale difesa non sapevo se queste persone fossero armate». Questa ricostruzione di Putortì però arriva solo in un secondo momento, quando cioè il cadavere di Stancampiano viene rinvenuto nel piazzale del Morelli dove era stato scaricato dai complici in fuga. Prima di allora nessun riferimento al coltello che verrà nominato solo quando i carabinieri della stazione di Rosario Valanidi, avvisati dai colleghi della polizia del possibile collegamento tra il furto e il ritrovamento del cadavere, fanno ritorno nell’abitazione dell’indagato, trovandolo intento a lavare accuratamente l’arma utilizzata.
«L’utilizzo del coltello e i plurimi colpi che attingevano le due vittime in parti vitali, il decesso del primo e le condizioni in cui versava Bruno – scrive ancora il Gip nell’ordinanza di convalida del fermo – acclarano la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per i reati di omicidio e tentato omicidio contestati».
I difensori del macellaio accusato di omicidio, Maurizio Condipodero e Giulia Dieni, hanno bollato la convalida del fermo come un provvedimento abnorme, annunciando il ricorso al Tribunale della libertà.