Nove minuti. 540 secondi di ritardo sul regionale verso Rosarno, sulle notoriamente efficientissime ferrovie della Calabria jonica, che sono costati cinque anni di processo a sette persone – un sindaco, ex amministratori, sindacalisti, semplici cittadini e persino un giornalista, che sui binari ci era andato per lavoro e la cui posizione era stata precedentemente archiviata – che protestavano contro l’ennesima chiusura di un reparto dell’ospedale Tiberio Evoli di Melito. Un calvario iniziato nel giugno del 2017 e terminato solo nei giorni scorsi con la sentenza emessa dal tribunale di Reggio Calabria che ha assolto «perché il fatto non costituisce reato» i sette imputati, che a processo ci erano finiti con l’accusa di interruzione di pubblico servizio.

La manifestazione sui binari

Una sorta di paradosso, visto che la manifestazione sfociata sui binari di Melito Porto Salvo, era stata indetta proprio per denunciare l’interruzione del servizio pubblico fornito dal reparto di ortopedia dell’ospedale cittadino, chiuso “temporaneamente” proprio a ridosso della stagione estiva. «Ma la cosa peggiore in tutta questa faccenda, più della denuncia, più dell’interminabile processo – racconta il sindaco di Roghudi Pierpaolo Zavettieri, tra i protagonisti di quella manifestazione individuati quel giorno e finiti alla sbarra – è che il reparto di ortopedia dell’ospedale è ancora chiuso. È rimasto solo un servizio ambulatoriale ma non si effettuano più interventi e il territorio ha perso l’ennesimo pezzo di sanità che funzionava».

La sospensione del servizio all'ospedale di Melito

Siamo nel giugno del 2017 e l’allora commissario Asp di Reggio firma un provvedimento temporaneo di sospensione del servizio erogato dal reparto di ortopedia. «Mancavano i medici a Locri che rischiava di chiudere – nella geografia sanitaria della provincia, l’ospedale Spoke di Locri vive una posizione gerarchicamente superiore alla cenerentola Melito – e ne hanno preso tre “in prestito” dall’Evoli» dice ancora Zavettieri «facevano 300 interventi l’anno per un territorio che copre le necessità di 70 mila persone. Un patrimonio andato perso. Certo ora con l’assoluzione possiamo tirare un sospiro di sollievo – dice ancora il primo cittadino di Roghudi, piccola enclave trasportata dalla montagna a ridosso di Melito – ma come sindaco non mi sarei mai aspettato di finire sotto processo per avere protestato per il diritto alla salute del mio territorio».

Il sit-in a Melito

Quel giorno la manifestazione inizia con un sit-in sul corso principale del paese, davanti ai padiglioni storici dell’ospedale, per poi spostarsi nella vicina stazione ferroviaria. Sui binari c’è un unico treno, fermo in attesa di iniziare il viaggio verso Rosarno. Della cinquantina di persone che formano il corteo di protesta, molte di loro scendono sui binari e lì rimangono per qualche minuto, sotto lo sguardo del macchinista in attesa dell’orario di partenza. «Ma la nostra era una manifestazione simbolica e pacifica – dice il sindacalista Usb Aurelio Monte, anche lui finito a processo e tra i promotori della manifestazione incriminata – noi non volevamo fermare i treni. E non lo abbiamo fatto. Volevamo solo sollevare attenzione verso il sistematico smantellamento dell’ospedale di Melito. Quando siamo arrivati in stazione siamo andati a parlare con il macchinista e gli abbiamo detto che avremmo lasciato i binari qualche minuto prima dell’orario di partenza previsto. Lo abbiamo anche gridato al megafono che non volevamo fermare i treni. Ci hanno accusato di avere causato un ritardo di 9 minuti sul regionale verso Rosarno, ma il treno è partito in orario, il ritardo lo ha accumulato durante il tragitto. E meno male per i passeggeri che si è trattato solo di 9 minuti.