Si erano ricompattati attorno allo storico boss: quel Mico Megna che, appena uscito dal carcere nel 2014, aveva ripreso in mano le redini della cosca dei “papaniciari” curandone gli interessi a Crotone,  così come in Veneto e in Emilia e come in Germania. Una locale radicata a fondo nell’economia della città pitagorica, quella dei Megna. Una locale che aveva esteso i suoi interessi al mercato delle macchinette mangia soldi (che venivano imposte ai locali della zona), a quello della ristorazione (con la continua acquisizione attraverso teste di legno di locali e ristoranti in città) e a quello dell’allevamento e della commercializzazione di bestiame. E poi estorsioni, violenze e omicidi, fino alla “gestione” di un concorso in seno all’ospedale di Catanzaro da aggiustare in modo da favorire la moglie di un agente penitenziario che, sostengono i giudici, si sarebbe messo a disposizione del clan. I dettagli emergono dall'operazione anti 'ndrangheta scattata all'alba che ha portato all'esecuzione di 43 misure cautelari. 

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«Le indagini – scrive il Gip – hanno fornito una chiara conferma in ordine alla attuale esistenza ed operatività della compagine associativa allo stato controllato da Domenico Megna il quale ha assunto nuovamente il controllo del gruppo e delle attività economiche della famiglia che ha trovato nuova linfa attuando un programma di progressiva penetrazione all’interno del tessuto economico».

Un compito che vedeva il capobastone – raccontano le carte dell’inchiesta Glicine – affiancato dai suoi familiari più stretti: il nipote Mario Megna, che del boss è considerato il braccio destro, oltre alla moglie e alla figlia. E se Santa Pace (compagna del boss) viene considerata dagli inquirenti come «figura di fondamentale importanza» all’interno della consorteria di ‘ndrangheta per il suo ruolo svolto sia durante la detenzione del marito che in seguito alla sua scarcerazione, Rosa Megna (figlia del mammasantissima) si sarebbe occupata dell’acquisizione di attività di ristorazione come nel caso del ristorante “Il Veliero”. Una espansione economica in grado di garantire guadagni sempre maggiori al clan, grazie all’apporto fondamentale di un gruppo di «professionisti in diversi settori» che la cosca utilizzava «per la risoluzione di problematiche di vario genere, con operazioni finalizzate ad incrementare i guadagni dei singoli associati e la bacinella comune del sodalizio».

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Uno dei settori in cui la cosca dei papaniciari era più attiva, dicono le indagini, era quello finanziario: settore in cui la cosca di Micu Megna «si era inserita sfruttando i cosiddetti conti dormienti ed utilizzando le cosiddette schede nere anche grazie alla compiacenza di personale  bancario». È lo stesso braccio destro del boss, intercettato dagli investigatori, a spiegare il sistema del pos in modalità off line che con la complicità del direttore della banca avrebbe consentito operazioni di prelievo di somme da tali conti senza lasciare alcuna tracciabilità. «Io sto facendo delle cose con dei conti… – racconta Mario Megna ad un sodale – dormienti si chiamano, che sarebbero quelli di Bin Laden. Tutti quelli che sono deceduti e hanno lasciato soldi e non sanno come li devono smaltire questi soldi… li fanno tramite computer, c’è il direttore che si prende il 40%... tu incassi i soldi e spariscono tutte le tracce, si chiamano off e on, quelle off spariscono subito, dopo mezzora che tu hai incassato i soldi non ci sono più tracce per seguire questi soldi qua».