Ci meritiamo il corto di Muccino. Pare evidente che la scelta fatta dal regista assoldato dalla Regione abbia un fine preciso.

Due attori belli e famosi, una storia d’amore che vive il ritorno alla terra natia, e la patina di una cartolina vintage da far girare soprattutto all’estero dove l’immagine italiana è sempre quella di “pizza e mandolino”, figuriamoci quella calabra.

Non può essere neanche pensabile che siano state tralasciate bellezze, tradizioni, storia, musei per superficialità o dimenticanza.

Si tratta di una scelta reputata evidentemente necessaria per raggiungere un target di possibili fruitori, il più vasto possibile.

Quello che evidentemente voleva il governo regionale quando ha scelto un regista noto al grande pubblico e molto patinato determinando poi, a cascata, la scelta degli attori e le storie di mare e clementine, di tovaglie a quadretti e le caricature di calabresi al bar e trattorie e di bergamotti che spuntano a capocchia.

 

Una sorta di cartina di tornasole del nostro dna provinciale, italico e calabrese, fermo alla magia degli anni ’50 e ’60.

Da allora nessuna evoluzione. Né in Italia, né in Calabria dove l’istituzione della Regione ha prodotto una miriade di governi in grado di dissipare risorse economiche, fare a pezzi il sistema sanitario e del welfare, costringere le nuove generazioni ad andare via senza avere una prospettiva di sviluppo e futuro.

Figuriamoci se mai qualcuno ha pensato a costruire, veicolare o, magari, esaltare un’identità calabrese.

 

E così con l’atteggiamento più provinciale possibile si cerca un regista glamour senza pensare ai contenuti, senza premiare il territorio e si sceglie la Calabria da cartolina, che vuol somigliare tanto alla Sicilia, per provare a “piacere” e a strizzare maliosamente l’occhio al grande pubblico.

Evitiamo, dunque, di sparare al pianista. O in questo caso al regista che si è limitato a investire lo spropositato budget per allestire una vetrina falsa che catturasse l’occhio. Forse neanche riuscendoci in realtà, ma poco cambia. I mandanti, come sempre, sono altrove. E continuiamo a votarli.