La proiezione del docufilm “Chi ha ucciso Giovanni Losardo?”, omaggio alla figura di Giovanni Losardo, è stato un successo. L'area del porto, usata come location per l'evento, ieri sera era gremita di persone accorse per assistere alla visione dell'opera della regista e giornalista acrese Giulia Zanfino. L'opera, cofinanziata dalla Calabria Film Commission, è una ricostruzione della tragica morte dell'allora segretario capo della procura di Paola, trucidato dalla 'ndrangheta nel giugno del 1980, omicidio per il quale ad oggi non esiste nessun colpevole. Il docufilm mette in evidenza l'omertà che accompagna la vicenda da oltre quarant'anni anni e alza un velo su presunti insabbiamenti e collusioni che avrebbero consentito alla cosca Muto di Cetraro la pericolosa escalation criminale che, benché sia cominciata tra la fine degli anni '70 e gli inizi degli anni '80, ha subito una prima battuta d'arresto soltanto nel 2006. Insieme a Giulia Zanfino, c'erano il produttore e direttore della fotografia Mauro Nigro, l'attore Giacinto Le Pera, che interpreta il protagonista, gran parte del cast e molti di coloro, tra giornalisti e magistrati, che hanno offerto il loro contribuito in termini di testimonianze alla realizzazione del docufilm. Presente, tra il pubblico, anche il figlio dell'indimenticato Giovanni, Raffaele Losardo. La risposta del pubblico e e il lungo applauso finale dei tanti cetraresi presenti, ha sancito definitivamente la rottura tra la società civile di Cetraro e il clan 'ndranghetistico dei Muto, che a queste latitudini aveva sempre costretto i cittadini alla sudditanza psicologica.

Chi era Giannino Losardo

Giannino Losardo era nato a Cetraro il 26 luglio 1926. Sposato e padre di due figli, aveva intrapreso la carriera politica come esponente del Partito Comunista Italiano, portando avanti memorabili lotte, tra cui quelle contadine. Al contempo, svolgeva la professione di segretario capo della procura di Paola. Divenne dapprima sindaco di Cetraro, poi consigliere comunale. Più che oppositore, Losardo rappresentò per la politica di allora una spina nel fianco. Negli d’oro della supremazia dei Muto, durante i quali nessuno osava ostacolare l’ascesa criminale, Losardo era una voce fuori dal coro, che non aveva nessuna intenzione di lasciarsi intimidire da un imbianchino con velleità da capobastone di ‘ndrangheta venuto a Cetraro in regime di sorveglianza speciale. La sera del 21 giugno 1980, mentre rincasava in auto, fu raggiunto da due killer in sella a un motorino che gli scaricarono addosso diversi colpi d’arma da fuoco. Riuscì a sopravvivere, ma solo per poche ore. Si spense il pomeriggio seguente all’ospedale di Paola, dove si trovava ricoverato. Per il suo omicidio, ancora oggi senza un colpevole, furono indagati e rinviati a giudizio Franco Muto e altri sodali, ma per tutti gli imputati il processo si concluse con l’assoluzione. Ad oggi l’omicidio è rimasto impunito.

La location

Il docufilm, cofinanziato dalla Calabria Film Commission, ha ottenuto il patrocinio del Comune di Cetraro e dalla Commissione Nazionale Antimafia. La proiezione rientra tra gli eventi della settimana della cultura benedettina, che ha per tema “Il silenzio delle vittime”. La scelta della location della manifestazione non è casuale, ma simbolica. Il porto di Cetraro, fino a pochi anni fa, ha rappresentato la roccaforte del clan Muto, che da qui, oltre ad armi e droga, ha controllato in modo esclusivo il mercato ittico della Riviera dei Cedri.

L’intervista al re del pesce

Il docufilm si avvale del contributo di Raffale Losardo, figlio di Giovanni, di giornalisti (tra cui Arcangelo Badolati, Guido Scarpino e Saverio Di Girono) e di magistrati (tra cui Eugenio Facciolla) profondi conoscitori del clan e del territorio dell'Tirreno cosentino. Contiene, inoltre, anche la testimonianza diretta di Franco Muto, reggente dell'omonimo clan di 'ndrangheta. Il re del pesce, questo è l’appellativo che gli ha conferito l’attività nel mercato ittico dell’intera Riviera dei Cedri, oggi è un uomo di 84 anni, che sta scontando gli arresti domiciliari per motivi di salute che lo tengono lontano dalle carceri. Nel 2006, per la prima volta, una sentenza della procura di Paola riconosce l’esistenza della cosca mafiosa dei Muto. Poi, dopo anni di assoluzioni, arrivano una serie di operazioni giudiziarie che inchiodano Muto, alcuni parenti e i loro sodali alle loro responsabilità. Una su tutte è l’inchiesta Frontiera, che fa scattare (nuovamente) le manette ai polsi del boss la mattina del 19 luglio del 2016. Ma come si evince dalle sue parole, raccolte nel docufilm dalla stessa Zanfino, tutte le accuse sarebbero una mistificazione. Secondo la sua versione, che stride fortemente con anni e anni di indagini della magistratura e numerose sentenze definitive, tutti, dai preti ai magistrati, lo avrebbero usato come capro espiatorio. Quella del sanguinario e impietoso boss di ‘ndrangheta, poi, sarebbe soltanto un’invenzione della stampa. «Sono stufo dei giornali e di queste cose - dice nell'intervista -, voglio essere lasciato in pace». E ovviamente in merito all’omicidio Losardo si dichiara totalmente estraneo ai fatti.

La polemica

L’evento, che ha riscosso grande successo di pubblico, ha rischiato di essere ricordato per le polemiche, più che per la sua valenza storica e sociale. Tre giorni fa, infatti, la regista Giulia Zanfino aveva scritto un lungo post per contestare la decisione dell’associazione Santa Lucia di far esibire, nelle stesse ore, il cantante neo melodico Salvatore Benincasa, accusato di scrivere testi che in qualche occasione strizzerebbero l'occhio alla criminalità. La giornalista di Acri aveva invocato pubblicamente l’annullamento del concerto, ma la sua richiesta non è stata accolta. «Intanto manifesto tutta la mia fiducia nelle istituzioni. Quindi se l'annullamento non c'è stato può darsi che ci sia un motivo – ha detto la Zanfino ai nostri microfoni -. Sicuramente non è un bel messaggio e soprattutto questo concerto non doveva esserci a monte, per cui forse bisogna fare più attenzione nel momento in cui si organizzano gli eventi, anche perché è finito su cartellone comunale. Noi oggi siamo qui a celebrare Giannino Losardo con il sostegno dell'amministrazione di Cetraro. Questo è un fatto molto, molto grave su cui io chiederò si faccia chiarezza in altre sedi. Ma questa è la serata di Giannino, quindi evitiamo le polemiche».  Don Ennio Stamile, invece, preferisce, non commentare l’accaduto. «Non me la sento, anche perché su questi fatti sono circa quindici anni che mi esprimo, rischio di dire sempre le stesse cose. Non ne vale la pena».