In magistratura dal 1989, il tirocinio a Firenze, le collaborazioni internazionali, il dialogo con i giovani. Gli anni in Dda, la lotta alla ‘ndrangheta e la commozione durante il saluto per il piccolo Anàs
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Sempre discreto, molto ironico, con un taglio informale e parecchio legato al mondo dei giovani per i quali spende, senza troppi clamori, molto del proprio tempo. Salvatore Maria Curcio, 60 anni, di Soverato, è il successore di Nicola Gratteri alla guida della Procura di Catanzaro. I due magistrati hanno sempre mantenuto ottimi rapporti e hanno collaborato generosamente negli anni in cui Gratteri coordinava la Dda del capoluogo e Curcio la Procura di Lamezia.
Il dialogo con i ragazzi e la storia di Anàs
A Lamezia Curcio non ha mancato, ogni estate, di partecipare alla manifestazione per ragazzi organizzata da una parrocchia. Un appuntamento semplice per il quale non ha mai fatto pubblicità. Abiti sportivi e sneakers ai piedi, il procuratore ha parlato di legalità, di umanità e anche di se stesso, di quanto siano stati importanti per lui gli insegnamenti di Don Bosco. Lo scorso anno, invece, con parole delicate, ha spiegato ai ragazzi come può esser difficile la vita per chi si trova costretto ad abbandonare il proprio Paese perché non ha da mangiare. Il riferimento era alla tragica storia del piccolo Anàs, il bambino tunisino di sei anni i cui poveri resti sono stati trovati al largo del golfo di Sant’Eufemia. Solo la perseveranza tenace del magistrato, e del commissariato di Lamezia, ha portato al riconoscimento delle spoglie del bambino e ha permesso il loro ritorno a casa.
Il procuratore si è speso anche nell’organizzare, col supporto dell’associazione Trame, una cerimonia di saluto per il piccolo. In quell’occasione non ha detto nulla, ha deposto solo dei gigli bianchi sulla piccola bara.
Al netto di qualunque curriculum, questo è l’uomo Salvatore Curcio. Il procuratore che tifa Catanzaro e Napoli, accoglie in famiglia i gatti randagi e conserva gelosamente i gadget delle forze di polizia di tutto il mondo con le quali si è trovato a collaborare soprattutto nelle investigazioni in materia di narcotraffico internazionale: dalla polizia Colombiana alla Dea.
La carriera
Curcio è in magistratura dal 1989. Dopo un periodo di tirocinio a Firenze, ha svolto le funzioni di giudice istruttore penale e giudice per le indagini preliminari al Tribunale di Catanzaro. Dal 1993 al 2012 è stato sostituto procuratore della Dda di Catanzaro applicato ai territori della Piana di Sibari e dell’alto Jonio cosentino.
Tra le sue inchieste più importanti ci sono Galassia, contro la ‘ndrangheta del cirotano e del cosentino, che portò a giudizio 187 persone, e l’operazione antidroga Decollo che toccò tre continenti e portò all’arresto di 119 persone e al sequestro di 5600 chili di cocaina.
Il magistrato è stato sostituto procuratore generale della Repubblica nella Corte d’appello di Catanzaro dal 2012 al 2016 anno in cui ha ricoperto il ruolo di procuratore della Repubblica facente funzioni di Lamezia Terme. Ruolo ratificato dal Csm il 19 aprile 2017.
Il messaggio: «Non abbiamo bisogno di eroi ma di una straordinaria ordinarietà»
In una recente intervista a LaC News24 ha detto: «Tutti noi calabresi non abbiamo bisogno né di supereroi, né di superpoteri, tanto meno di un deus ex machina che possa risolvere i nostri problemi, primo in testa quello relativo al crimine organizzato mafioso. C’è bisogno, invece, di una "straordinaria ordinarietà", in cui ciascun cittadino responsabile sia parte attiva nella comunità, in cui un diritto sia tale e non venga contrabbandato come "favore", in cui ogni cittadino, quotidianamente, sia testimone del proprio impegno, nel lavoro, nello studio, nelle ordinarie occupazioni, nella vita relazionale, nella coerenza dei comportamenti. Prima di parlare di lotta alle mafie, è necessario combattere e sradicare la cultura mafiosa, la mentalità della prevaricazione, della difesa strenua delle proprie "rendite di posizione" a qualunque costo, della "mediazione amicale" quale soluzione e superamento di ogni difficoltà che ci sbarra il passo, anche quando siamo consapevoli di perseguire un fine indebito, dell’indifferenza, dell’individualismo più sfrenato che caratterizza questo nostro tempo, sostituendo all’"io" il "noi", espressione di appartenenza ad un comune sentire, ad una comunità»