Secondo i giudici del tribunale di Paola l’uomo non farebbe più parte di un'associazione mafiosa. Le reazioni dell'opinione pubblica
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Alla soglia degli 80 anni il boss di 'ndrangheta Franco Muto, già condannato a in via definitiva per reati di mafia, dopo tre anni e due mesi di carcere duro trascorsi nel penitenziario di Opera, a Milano, torna nella sua residenza a Cetraro, per 30 anni sede operativa del clan riconosciuto con sentenza passata in giudicato nel settembre 2006. L'anziano sconterà gli arresti domiciliari. La decisione è frutto della sentenza di primo grado del 6 luglio scorso, quando i giudici del tribunale di Paola hanno sentenziato, nell'ambito del processo Frontiera, che il boss non farebbe più parte di un'associazione criminale, tanto meno mafiosa, e che l'unico reato commesso è ascrivibile all'intestazione fittizia di beni.
Per questo motivo il capobastone del leggendario e sanguinario clan Muto è stato condannato a 7 anni e 10 mesi di reclusione. Ma venuta meno la componente 'ndranghetista, considerati un presunto stato di salute cagionevole e gli anni già trascorsi dietro le sbarre, il tribunale della Libertà ha ritenuto opportuno rispedire il boss, un tempo considerato tra i dieci più pericolosi dell'onorata società, nella sua casa di Cetraro, perché oggi sarebbe del tutto innocuo e fuori dai "giochi". Le incombenze del clan sarebbero spettate, da qualche anno a questa parte, al figlio del boss, Luigi, anch'egli arrestato il 19 luglio 2016 nella medesima operazione antindrangheta e oggi detenuto in regime di 41 bis. Per lui i legali hanno scelto il rito abbreviato, che si è concluso in primo grado con una condanna a 15 anni e 4 mesi di reclusione.
Le reazioni
A chi mastica la materia, la scelta di rispedire il boss a casa, seppure anziano e (pare) con gravi problemi di salute, è apparsa grave e paradossale. «La notizia della scarcerazione di Franco Muto - ha scritto il senatore Pd Ernesto Magorno - lascia senza parole. Non si può non condividere il pensiero di Klaus Davi. Da parte mia non mancherà mai il sostegno a personalità come Nicola Gratteri e a tutte le persone che ogni giorno lavorano per rendere la Calabria una terra dal profumo di legalità». Klaus Davi, giornalista e mass mediologo di fama, sui social ha definito assurda e inconcepibile la vicenda. Anche Stefano Gaziano, commissario del Pd calabrese, ha voluto commentare l'accaduto: «La decisione del tribunale di concedere i domiciliari al boss, Franco Muto, detenuto al 41 bis è assurda, mina la credibilità delle istituzioni e indebolisce chi si batte per la legalità. Il ministro Bonafede si attivi immediatamente».
Una notizia che lascia perplessi
La notizia ha fatto immediatamente il giro del web e nel territorio del Tirreno cosentino, martoriato e mortificato per 30 anni dall'attività criminale del clan, c'è una forte sensazione di stupore e incredulità. E chi ha vissuto sulla propria pelle le conseguenze di un'era scandita oltre che da spaccio di droga e omicidi, anche da corruzione, ha anche azzardato una battuta sarcastica: «Toh, giusto in tempo per le elezioni regionali». Il boss è davvero fuori dai giochi?