Il togato, per anni alla guida del Dap, interviene sulla vicenda Donzelli-Delmastro: «Il sottosegretario ne dispone legittimamente. Sono atti che vanno utilizzati per prorogare o meno il 41-bis e sono comunicati anche all’interessato»
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«Il contenuto non mi pare segreto, se parliamo delle relazioni della polizia penitenziaria sui rapporti tra Cospito e altri detenuti mafiosi. Si tratta di atti su cui si può basare la scelta di mantenere o revocare il regime». Sebastiano Ardita è un magistrato che da poco ha lasciato il suo incarico al Csm, ma che, per nove lunghi anni, è stato a capo del Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria che, in questi giorni, è al centro delle questioni che riguardano la vicenda Cospito.
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Intervistato da Felice Manti sul Giornale, Ardita ha fornito una versione che sembra sgonfiare il caso Donzelli-Delmastro. «Ho sentito parlare di intercettazioni e di documenti riservati, ma non è affatto così. Non si tratta di notizie di reato – rimarca Ardita – ma di atti che il Ministero può e deve utilizzare e rendere pubblici se intende mantenere il 41-bis. Deve farlo inserendoli in un eventuale provvedimento di proroga del regime o di rigetto della richiesta di revoca comunicandolo all’interessato, e può farne oggetto di comunicazione pubblica per spiegare ai cittadini quale sia la ragione della sua scelta di politica criminale». Secondo Ardita, «il sottosegretario alla Giustizia ne dispone legittimamente e non vedo perché non possa comunicarne il contenuto ad un membro del Parlamento, se è vero che può e deve diffonderlo al diretto interessato ed alla pubblica opinione».
Il magistrato spiega come anche nel passato i ministri della Giustizia «innumerevoli volte hanno fatto utilizzo di queste note e ne hanno fatto anche oggetto di comunicazioni pubbliche. È capitato a proposito di Riina, Bagarella, Santapaola e molti altri boss. Si può discutere sul modo, ma non rilevo nessuna illegittima rivelazione nella circolazione istituzionale di queste notizie».
Quando al 41-bis a Cospito, Ardita non ha dubbi: «Il 41-bis è una misura fortemente simbolica della intransigenza dello Stato rispetto ad un fenomeno criminale. Adesso revocare il regime significherebbe per il nuovo governo dare un segnale contrario. Specialmente dopo la decisione del Tribunale di Sorveglianza che ne ha ritenuto la legittima applicazione. E tutto questo dà il senso di come su questo caso si stia registrando un cortocircuito istituzionale, che può rivelarsi davvero come una carta in mano a Cosa nostra per tentare di liberarsi dell’odiato 41-bis».
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