VIDEO | Al nosocomio della città jonica l'emergenza è ampliata da guardie mediche sospese, ambulanze non medicalizzate e pochi candidati ai concorsi. Situazione allarmante per il capo del dipartimento dell’Asp Natale Straface
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Dati Covid in decrescita a Corigliano Rossano ma sul fronte ospedaliero la battaglia rimane aperta. Gravi, ancora oggi, le ripercussioni sui due pronto soccorso dello Spoke di Corigliano-Rossano, che pagano lo scotto della carenza di personale e di posti letto nel nosocomio, dell’impossibilità di ricoverare pazienti Covid con patologia ordinarie nei rispettivi reparti (in questi casi, rimangono a sostare nei reparti di emergenza). E poi, il problema della sospensione delle guardie mediche territoriali e delle ambulanze del 118 ancora oggi non medicalizzate.
Questo è lo scenario che si prefigura in riva allo Jonio. Il Polo Covid registra attualmente 24 ricoveri su 36 posti letto disponibili, il reparto non può accettare altri ricoveri per carenza di personale medico e infermieristico: «Tutto ciò che era stato promesso», afferma il Capo di Dipartimento di Emergenza/Urgenza dell’Asp di Cosenza nonché Direttore della Divisione di Pronto Soccorso dello Spoke di Corigliano Rossano Natale Straface, «non è stato mantenuto non tanto per incapacità dell’amministrazione ma perché non è facile reperire personale. È necessario dare vita a ulteriori sforzi in quanto il virus ancora circola, sono in corso riunioni a livello regionale al fine di trovare una soluzione».
Indetti i concorsi ma pochi i candidati
Appare nel frattempo paradossale che, in una regione il cui tasso di disoccupazione è allarmante, al concorso indetto dall’Asp di Cosenza per l’assunzione di 7 nuovi medici destinati alla medicina d’urgenza, vi siano solo tre candidati partecipanti, di cui due di fuori regione. Idem sul fronte del 118: su un fabbisogno di 70 medici nell’intera provincia di Cosenza, si è riusciti a reperire un solo medico. «Ci sono pochi laureati, osserva Straface, e con rammarico devo affermare che il nostro territorio non risulta evidentemente appetibile per via delle difficoltà di tipo organizzativo e logistico, ma anche per la qualità dell’assistenza».
Secondo l’alto dirigente, con i fondi arrivati per affrontare la pandemia si poteva fare molto: «C’è stato un cattivo utilizzo di ciò che avevamo a disposizione, rincara Straface, ospedali ancora chiusi (Cariati e Trebisacce) e presidi che hanno drasticamente ridotto i posti Covid (Cetraro). Attualmente rispondono parzialmente solo Rossano e Acri. Non possiamo assolutamente dire che il Covid abbia messo in crisi il sistema, era già un sistema compromesso e i soldi necessari per affrontare l’emergenza sanitaria non sono stati affatto sfruttati come si doveva».
La sofferenza dell’area chirurgica
Tra le questioni ancora aperte nello Spoke di Corigliano Rossano permane la sofferenza delle attività chirurgiche: «La chirurgia lavora a ritmi ridotti, la divisione di Rianimazione non riesce a garantire gli standard assistenziali per carenza di personale, problemi analoghi nella divisione di Ortopedia. Vanno meglio, invece, la Medicina e la Nefrologia, dove il personale presente è adeguato a mantenere alti i livelli di prestazione assistenziale». È attuale il tema delle aggressioni ai camici bianchi, prevalentemente nelle aree considerate ad alto rischio come, per l’appunto, i pronto soccorso.
Lo Spoke di Corigliano Rossano non è esente da tale fenomeno. Da più tempo si chiede un presidio di sicurezza e di vigilanza, così com’era un tempo quando all’interno dell’ospedale era presente un posto di polizia, poi smantellato. «È un dato che deve farci riflettere, afferma Straface, che ci riconduce a una sostanziale insoddisfazione dei cittadini. Spesso non si ha fiducia nelle istituzioni e nello Stato, non dobbiamo creare delle caserme negli ospedali ma sicuramente occorre investire e ben venga il Pnrr che mette al centro i territori periferici partendo dalle esigenze primarie. Molti pazienti giungono al pronto soccorso disperati per la mancanza di guardie mediche e spesso anche del medico di famiglia. In alcuni casi abbiamo problemi a garantire prestazioni ordinarie».
La fuga dalla Calabria
Infine, il fronte dell’emigrazione sanitaria e dei dati sconfortanti raccolti in altre realtà ospedaliere: «Sono stato di recente al Gemelli di Roma, racconta il direttore Straface, e mi sono reso conto di come, su dieci pazienti, sette siano calabresi.
È evidente che siamo di fronte a una cattiva assistenza in Calabria». Alla domanda circa una terapia d’urto che possa risolvere la questione, il capo del dipartimento dell’Asp di Cosenza così risponde: «Certamente non l’Azienda zero. La logica degli accorpamenti in Calabria è stata un fallimento. Gli ospedalieri si trovano penalizzati perché accorpati in organismi composti da soggetti che non hanno esperienza ospedaliera. Ben vengano, quindi, le aziende ospedaliere in rete».