L'accusa di morte come conseguenza di altro reato non ha retto in giudizio. I giudici hanno deciso di condannare solo per le minacce
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Tre mesi di condanna per minacce. È questa la pena inflitta al cosentino di trent'anni che il 16 agosto del 2021 si scagliò verbalmente contro il sottoufficiale dei carabinieri Antonio Carbone, 56 anni, poi deceduto a causa di un infarto. L'ipotesi della Procura era che la tragedia fosse collegata intimamente a quell'aggressione, tant'è che contro l'imputato era stata formulata anche l'accusa di morte come conseguenza di altro reato.
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Alla fine, però, i giudici hanno inteso condannare il trentenne solo per uno dei due capi d'imputazione, quello meno gravoso. All'epoca, lui e il povero Carbone erano entrati casualmente in contatto sulla spiaggia di Paola. Il carabiniere lo aveva rimproverato dopo averlo visto gettare una cicca di sigaretta in mare, innescando così la reazione furibonda dell'altro bagnante. Lo shock emotivo aveva profondamente scosso il 56enne al punto da farlo stramazzare sulla sabbia.
Inutili i tentativi di rianimarlo, è morto proprio in riva a quel mare che ha cercato di difendere dall'inciviltà.
Carbone prestava servizio nell'Arma con il grado di maresciallo maggiore. Originario di Paola, viveva per lavoro in Piemonte, regione in cui aveva comandato diverse stazioni locali, ma tornava sempre nella sua terra d'origine per le vacanze estive. Dopo le esequie, suo fratello Vincenzo aveva rilasciato alla stampa una dichiarazione esemplare: «Non c’è spazio per l’odio nel nostro cuore, non c’è spazio per il rancore. Accanto al dolore e alla tristezza, nel nostro cuore oggi – ha detto – c’è spazio solo e soltanto per il perdono. Solo questo ci rende pienamente coscienti che quanto accaduto non sarà invano». Ad Antonio Carbone, il Comune di Paola ha intitolato una strada alla memoria.