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Dio benedica Carlo Tansi. Pane al pane e vino al vino. Sarà forse perché il suo ruolo tecnico gli da la possibilità di non parlare il politichese, ma di certo non si ricorda una persona, che ricopre un alto incarico di responsabilità come appunto la dirigenza regionale della Protezione civile, parlare così chiaro. Cultura vecchia contro cultura nuova. E’ questa la sintesi migliore della puntata di ieri pomeriggio de “I fatti in diretta” andata in onda su LaC e condotta dal direttore Pietro Comito. Argomento di ieri è stato il dissesto idrogeologico, frane, tragedie naturali, alluvioni. MalaCalabria, insomma. Cultura vecchia interpretata dal sindaco di Petilia Policastro Amedeo Nicolazzi e cultura nuova interpretata da Carlo Tansi. Con la cultura di mezzo e generalista interpreta dai soliti politici dei piedi in mille scarpe, come nel caso di Arturo Bova e Mimmo Bevacqua.
134 mila case abusive in Calabria. Già un dato impressionante, che mette sotto i riflettori soprattutto la politica locale, quella per intendersi che rilascia (o ha rilasciato in passato) concessioni edilizia per clientelismo e un pugno di voti di più. Quella, come nel caso del sindaco Nicolazzi, che poi a tragedie avvenute si lamenta dei ritardi della burocrazia nell’elargire risorse per il recupero e la normalizzazione dell’esistente, dimenticandosi di amministrare un territorio con quasi il 90 per cento di illegalità abitativa, compreso un frantoio di famiglia che – ecco perché Tansi è persona seria – “è stato costruito su un’area chiamata Pantano”.
“Si torna sempre allo stesso punto: le case abusive vanno abbattute”. Più chiaro di così si muore. E si muore davvero. Ecco la cultura nuova, ecco la giusta via di Tansi. E’ il punto fondamentale è proprio questo: “Perché dobbiamo accollarci noi la spesa di quei cittadini che hanno costruito illegalmente le loro case?”. Una domanda sacrosanta, soprattutto per dei una dato che fa ancora più rabbrividire: per sanare situazioni di abusivismo diffuso ci vorrebbero 2 mila milioni di euro.
A tal proposito, durante il collegamento l’esempio di tale “cultura vecchia” è stata poi ben rappresentata da una cittadina di Petilia Policastro, vittima sua malgrado della frana dello scorso anno. La cittadina ha parlato di 30 anni sacrifici per costruirsi legittimamente una casa però illegittima. E ha avuto pure il coraggio deresponsabilizzarsi davanti al fatto compiuto: “Perché all’epoca mi hanno dato i permessi per fare i lavori?” E davvero imbarazzante. E lo è per due motivi specifici: il primo è il rapporto di cointeressenza tra i due soggetti, ovvero l’amministrazione dell’epoca e il beneficiario. L’uno non può escludere l’altro e tutte due sono colpevoli e non innocenti; il secondo è l’assurdità della richiesta danni e risarcitoria. Perché pagare i danni alla signora se ha costruito in barba a qualunque legge, su tutte quella naturale?
Da qui il terzo punto, messo in risalto dal funzionario della Prociv Paolo Cappadona: “In questi casi ci si può mettere al riparo da aspetti tecnici-amministrativi, ma non di sicurezza”. Che tradotto vuol dire: la strada per il condono edilizio la si può sempre trovare, ma questo non garantisce assolutamente la sicurezza dello stabile. Se una casa è stata costruita su un’area franosa prima o poi cadrà. E nel caso specifico il dramma è avvenuto dopo 30 anni.
Ma la cultura vecchia è Amedeo Nicolazzi che ha il coraggio di chiamare “abusivismo di necessità” chi pretende di avere una casa a tutti i costi e con tutti i mezzi. Lui fa il sindaco e deve da par suo difendere il suo paese. Ma è una difesa in cattiva coscienza, perché si sta assumendo la potenziale responsabilità dei futuri disastri.