È l’esordio davanti alla Commissione parlamentare antimafia da procuratore di Torino. Giovanni Bombardieri, nell’aula di Palazzo San Macuto, traccia i contorni dell’infiltrazione della ’ndrangheta in Piemonte ricordando blitz e sentenze. La sua è una relazione ampia, da poco pubblicata in forma integrale: pezzi di storia mafiosa che non possono non toccare vicende eclatanti come l’omicidio del procuratore Bruno Caccia.

Bombardieri, però, dedica un passaggio anche alla gestione dei beni confiscati e spiega che «rappresentano un problema nazionale». Il problema, per il magistrato reggino, è il loro utilizzo: «Spesso – evidenzia davanti ai parlamentari – questi beni non vengono utilizzati perché i loro costi di legalizzazione sono tali che gli enti territoriali a cui vengono destinati non sono in grado di affrontarli».

Il procuratore torna alle proprie esperienze in Calabria per mettere in evidenza le crepe di un sistema essenziale per colpire i patrimoni mafiosi eppure spesso farraginoso: «Ricordo quando ero giù che c'erano degli edifici confiscati, assegnati a un Comune, e il Comune non li voleva proprio, perché non aveva le risorse economiche per metterli in regola, per poterli utilizzare definitivamente». E invece utilizzare quei beni «è un segnale importante, importantissimo, perché costituisce l'affermazione dello Stato in una situazione di illegalità. È un'affermazione che è temuta tantissimo dall'organizzazione criminale».

Bombardieri cita il caso di un immobile a Siderno confiscato ai Commisso, «che era stato destinato ad alloggi per l'edilizia popolare». Di certo ce ne sarebbe stato bisogno, visti «i noti problemi di edilizia residenziale pubblica, con la necessità di alloggi per la gente», eppure «nessuno aveva fatto domanda per ottenere questo alloggio. Anzi, mi raccontava il commissario prefettizio in un'occasione che una donna che aveva fatto questa domanda e che era contenta di ottenere questo alloggio, due giorni dopo si era presentata dicendo che ci rinunciava». Questioni gestionali legate a quelli che l’ex procuratore di Reggio Calabria chiama «costi di legalizzazione». In quel caso, l’immobile sottratto alla cosca è stato destinato ad alloggi per militari.

Per Bombardieri «sicuramente la gestione dei beni confiscati è importante, ma è importante forse anche una rivisitazione del sistema di assegnazione e di utilizzazione di questi beni».

Un passaggio importante perché potrebbe restituire spazi di legalità specie nei piccoli Comuni, dove i beni confiscati spesso sono oggetto degli appetiti delle cosche. Ma le istituzioni non hanno i soldi necessari a gestirli: paradossi della lotta alla forma di criminalità organizzata più ricca e potente al mondo.