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I momenti di fragilità, di insicurezza e di paura sono di colpo svaniti con quel pianto liberatorio. Le lacrime sono scese improvvisamente dopo la pronuncia della sentenza di condanna di tutti e 23 gli imputati del processo "Black Monkey”.
Il viso è quello di Giovanni Tizian, il giornalista de L’Espresso a cui Nicola Femia condannato in primo grado a 26 anni e 10 mesi di reclusione, voleva “sparare in bocca”. Nel lontano 2011 in un’intercettazione il boss lo diceva a chiare lettere a Guido Torello. Quel cronista che aveva scoperchiato i suoi affari illeciti doveva essere messo a tacere per sempre. Parole che hanno cambiato la vita di Tizian che nel Tribunale di Bologna ritrova un po’ di serenità perduta.
«In quella mezz’ora in cui aspettavo la sentenza, mi è passata davanti tutta la mia vita, a partire da quel dicembre 2011 quando ho ricevuto la telefonata in cui mi veniva comunicato che sarei diventato un giornalista sotto scorta», spiega il cronista. Dopo due anni e mezzo di udienze, il tribunale oltre le condanne ha disposto risarcimenti alle parti civili, tra cui la Regione Emilia-Romagna e per la prima volta all’Ordine dei giornalisti.
«E’ una sentenza storica – continua Tizian – sia per il riconoscimento di associazione mafiosa in Emilia Romagna e in particolare, al Tribunale di Bologna che non aveva mai condannato al 416bis, sia per il risarcimento all’Ordine dei giornalisti che si è visto tutelare un suo iscritto. Questo spero valga in futuro anche per tanti altri colleghi».
Secondo il cronista, la sentenza è soprattutto una presa di coscienza di come la criminalità organizzata si sia trasformata negli anni. «I clan, a differenza del passato, operano soprattutto nel campo imprenditoriale e finanziario, in questo caso parliamo di slot machine e gioco d’azzardo, e non più quindi solo di omicidi ed episodi violenti».
La decisione della Corte bolognese farebbe leggere il fenomeno mafioso in maniera più moderna. «L’essenza stessa delle mafie è cambiata, è fatta oggi di una sostanza molto più liquida, impercettibile, non più identificabile in unico territorio. E’ la capacità delle organizzazioni mafiose di attirare a sé imprenditori insospettabili, professionisti e perfino politici», continua. E’ quella stessa mafia che è quasi del tutto scomparsa dall’agenda politica del paese. «Una volta almeno se ne discuteva anche per facciata in campagna elettorale, oggi neanche più questo – dice Tizian - Si è perso di vista ciò che è l'economia criminale, ormai si è arrivati all’assuefazione totale e generale. Non si è più in grado di indignarsi è forse questo il dato più amaro».
E il futuro? «Mi sono liberato di un peso molto grosso. Certo, non si gioisce mai quando c’è un processo e ci sono dei condannati perché vuol dire che la democrazia in qualche modo ha fallito. La strada è lunga ma da oggi c’è una sentenza importante che può aiutare a capire cos’è diventato il fenomeno mafioso».
Dominella Trunfio