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Il potere del boss Nicolino Grande Aracri non aveva limiti. Era capace di arrivare alle alte sfere ecclesiastiche fino ai magistrati della Corte di Cassazione. C'è anche questo nelle 1.300 pagine dell'ordinanza di fermo vergata dal pm Domenico Guarascio della Direzione distrettuale di Catanzaro nei confronti della cosca crotonese guidata da Nicolino Grande Aracri a carico di 37 persone indagate nell'ambito dell'inchiesta Amelia al centro della maxi retata che ha coinvolto anche la Lombardia ed Emilia Romagna. Sarebbe stato proprio un monsignore, in servizio a Roma, allo stato non indagato, ad impegnarsi per ottenere il trasferimento di un detenuto del clan da un carcere del centro nord ad una struttura calabrese. E ci sarebbe stato anche l'intermediazione di un avvocato romano, che in nome della cosca avrebbe interessato un magistrato in vista della decisione sull'ordinanza di carcerazione di un esponente di spicco del clan, Giovanni Abramo, condannato in primo e secondo grado perché ritenuto responsabile dell'omicidio di Antonio Dragone. «L'impero messo in piedi da "Mano di gomma" era vastissimo e per allargare i confini,gli emissari di Grande Aracri partecipavano ai matrimoni delle cosche di San Luca o dei Bonavota di Vibo. Amicizie, alleanze, rapporti molteplici che facevano sempre riferimento a Grande Aracri. Intanto nelle prossime ore è prevista l'udienza di convalida per i 37 fermi avvenuti in Calabria.