Il processo

«Ne ho fatto di cose là sotto»: lo strapotere del «soldato» del clan Mancuso sui terreni in cui è scomparsa Maria Chindamo

Davanti alla Corte d’Assise la Dda di Catanzaro tratteggia la figura di Salvatore Ascone, accusato dell’omicidio dell'imprenditrice a Limbadi. Le intercettazioni agli atti: «Dove è scomparsa quella femmina ha recintato tutto». L’estorsione da 10mila euro per la compravendita di un fondo 

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di Alessia Truzzolillo
14 giugno 2024
09:30

Salvatore Ascone, 58 anni, detto Turi, o U Punnularu, era intraneo alla cosca Mancuso, in particolare al ramo Mbrogghja – del quale si considerava un «soldato» – e godeva di un certo potere in località Montalto di Limbadi dove riteneva di avere il potere di dare il proprio assenso a qualunque trattativa sui terreni di quella zona. È questa la tesi che la Dda di Catanzaro porta anche davanti alla Corte d’Assise dove Ascone deve rispondere dell’omicidio dell’imprenditrice di Laureana di Borrello, Maria Chindamo, fatta sparire a 44 anni, il sei maggio 2016, proprio davanti alla sua tenuta di località Montalto. Un terreno, quello dell’imprenditrice, che si trova proprio difronte alle proprietà di Ascone le cui telecamere avevano funzionato fino alla sera precedente fino alle 23 poi non funzioneranno più. Non una casualità ma una vera e propria manomissione, sostiene la Distrettuale antimafia.

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Vendetta e avidità

Un omicidio, quello di Maria Chindamo, maturato, dice l’accusa, per vendetta e per avidità. La vendetta l’avrebbe cercata l’ex suocero della vittima, Vincenzo Punturiero (deceduto), per vendicare il suicidio del figlio, Ferdinando Punturiero, avvenuto l’otto maggio 2015, che l’uomo imputava alla separazione dalla Chindamo la quale aveva poi reso pubblica, due giorni prima di morire, una nuova relazione sentimentale.
L’avidità è da ricondursi a coloro che hanno concorso nell’agguato mortale, compreso Ascone, che sarebbe stato aiutato dal figlio, allora minorenne, e da altri ancora ignoti. Il disegno era quello di acquisire i terreni della Chindamo nel proprio interesse e in qualità di referente di Diego Mancuso, 71 anni, detto “Mazzola”, terzo dei sette figli del ramo Mbrogghja.


«Gli ho fatto sempre il soldato»

Il 21 giugno 2018 Salvatore Ascone è adirato e deluso. Lo rivela – racconta il capitano Alessandro Bui nel corso dell’udienza davanti alla Corte d’Assise – un’intercettazione tra Ascone, la moglie e il figlio Rocco. L’uomo lamenta il fatto di avere avuto un’invasione sui terreni, in un periodo di assenza, da parte di tale La Gamba che si sarebbe presentato in compagnia del figlio di Francesco Mancuso, alias Tabacco, fratello di Diego Mancuso.

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E proprio coi Mancuso, che avrebbero permesso questo sgarbo, è adirato Ascone, spiega Bui.
«Gli ho fatto sempre il soldato, ho dormito là sotto», dice, intendendo con “là sotto” Limbadi, ovvero, come spiega l’ufficiale, «il centro di potere della cosca» e con “soldato” la «funzione specifica all’interno dell’associazione criminale».
«Ne ho fatte di cose là sotto», afferma Ascone.
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