’Ndrangheta

Emanuele Mancuso: «Due carabinieri passavano informazioni ad Ascone». Che in aula dice: «Sto malissimo, voglio curarmi»

Prosegue il controesame del collaboratore di giustizia nel maxi processo Maestrale. Il pentito racconta il fastidio dei Bellocco per le mazzette chieste da Mantella ai tir di passaggio da Vibo Valentia. La cosca di Limbadi aveva paura delle gole profonde

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di Alessia Truzzolillo
25 luglio 2024
06:46

Come è possibile che Salvatore Ascone che viene considerato un uomo intraneo alla cosca Mancuso, e con una posizione «medio-alta», potesse avere rapporti anche con i servizi segreti e, nonostante questo, restasse in vita? È questo il succo della prima domanda che l’avvocato Salvatore Staiano rivolge al collaboratore di giustizia Emanuele Mancuso, figlio di un elemento di spicco della ‘ndrangheta vibonese, Pantaleone Mancuso, detto l’ingegnere. Il collaboratore ha spesso raccontato di avere avuto in passato, prima di essere arrestato, un rapporto strettissimo con Ascone che dice «per me è stato un padre, un mentore, io ero tutti i giorni a casa sua, lui mi spiegava certe dinamiche all'interno delle cosche».

Di servizi segreti Emanuele Mancuso dice di non saperne niente. «Io so – spiega – che aveva rapporti con due carabinieri. Uno se lo teneva per sé e uno era condiviso».


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Le telecamere rimosse

In più occasioni il collaboratore aveva parlato di una telecamera in montagna che lui aveva rimosso. La difesa gli chiede se ha contezza di chi l’avesse piazzata. Secondo Emanuele Mancuso, viste alcune caratteristiche tecniche della telecamera, questa è stata montata dalla Distrettuale o dai carabinieri. «Per me – dice – la Distrettuale, le forze dell’ordine, sicuro. Perché aveva lo stesso impianto di altre telecamere che avevo rimosso: batterie collegate a serie, le scatole delle batterie messe sottoterra, l’impianto con la wi-fi. Era classica delle forze dell’ordine».

Le lamentele dei Bellocco per le mazzette di Mantella

Secondo l’avvocato Staiano c’è un grande assente nelle dichiarazioni di Emanuele Mancuso: il boss scissionista di Vibo Valentia, oggi collaboratore di giustizia, Andrea Mantella.

Emanuele Mancuso, pur essendo parco di particolari rispetto ad altre dichiarazioni, elenca una serie di sue esternazioni in cui viene citato Mantella. In una occasione ricorda un incontro con Totò Bellocco di San Ferdinando. Questi disse che «stava andando da Scarpuni (Pantaleone Mancuso alias Scarpuni, ndr) perché c’era uno di Vibo Valentia che non faceva passare i tir perché chiedeva la mazzetta». Il soggetto in questione era Mantella definito persona «che dava fastidio, che si contrapponeva». Il fatto viene collocato cronologicamente tra il 2011 e il 2013.

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La paura dei Mancuso per le dichiarazioni di Mantella

Emanuele Mancuso ricorda poi i suoi familiari «sconvolti e preoccupati» quando appresero della collaborazione di Mantella con la giustizia, avvenuta a maggio 2016.
«Avevano paura – dichiara il teste – di quello che stava dicendo e chiedevano agli avvocati cosa stava raccontando e chiedevano se si pentivano pure Leone Soriano o Quaranta. Chiedevano e avevano paura».

Secondo l’avvocato Staiano Mancuso non sa «nemmeno nella costellazione del firmamento ‘ndranghetistico che posizione avesse Mantella» e chiede al collaboratore perché i suoi familiari fossero così preoccupati. «Sicuramente perché aveva a che fare con loro che conosceva dinamiche…», risponde il pentito. Ma le dinamiche tra la sua famiglia e Mantella, Mancuso afferma di non ricordale e, aggiunge, «io so quello che ho dichiarato».

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La «situazione disperata» di Salvatore Ascone

«Ha intenzione di farsi curare?». La domanda del presidente del collegio è netta. Dimagrito, pallido, appeso a una stampella, l’imputato Salvatore Ascone risponde «sì, ho intenzione di farmi curare», dice che non sente più gli effetti della morfina, che ha un’infezione che non regredisce, dovrebbe stare, a detta dei medici, in una stanza sterile, e «non riesco a lavarmi nemmeno due robe».

La domanda del presidente non è fatta a caso. Risale, infatti, al nove luglio scorso una dichiarazione medica di rifiuto, da parte di Ascone, di fare una Tac. Ma adesso l’uomo, detenuto nel carcere di Secondigliano, spiega che «ho rifiutato la Tac per paura di avere qualcosa di brutto».

Adesso, dice Ascone e lo rimarca anche la difesa, le condizioni sono peggiorate. «Sto male male», ripete più volte l’imputato. «La situazione è disperata», sostiene l’avvocato Staiano. Si chiede che si intervenga al più presto con una Pet per avere una diagnosi certificata. Il presidente del collegio – che già alla scorsa udienza aveva preso atto delle mutate decisioni di Ascone, il quale accettava di farsi curare – ha affermato che solleciterà perché la Pet venga effettuata.

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